Afghanistan: informazione manipolata per negare la disfatta. La denuncia di un colonnello USA

Il periodo dell’occupazione occidentale dell’Afghanistan supera ormai quello catastrofico dei Sovietici, la cui sconfitta fu anche il preludio alla dissoluzione dell’Urss. Negli anni Ottanta chiunque in campo occidentale avesse usato parole di comprensione verso l’invasione sovietica in Afghanistan veniva giustamente isolato politicamente e l’epiteto di “kabulista” era usato in senso dispregiativo per coloro che approvarono quell’occupazione, alla stregua di coloro che giustificarono gli interventi sovietici in Ungheria ed in Cecoslovacchia.

Ma il mondo cambia rapidamente, e dal 2001, da oltre dieci anni, ad essere impantanati in Afghanistan siamo noi occidentali, la Nato, subentrata, su mandato Onu, alla guerra unilaterale americana avviata poco più di un mese dopo gli attentati dell’11 settembre, secondo un disegno strategico ben pianificato e tutt’ora ancora in corso di attuazione, in tutta la regione medio-orientale, Pakistan ed Iran compresi.

L’Occidente però ha delle democrazie a cui render conto, a differenza del regime sovietico. Come giustificare la continuazione indefinita delle operazioni belliche, soprattutto in un tempo nel quale è lo stesso sistema economico e finanziario a rischiare il collasso? Ricorrendo al metodo più classico dei tempi di guerra. La manipolazione delle informazioni. In un primo tempo, per i primi anni d’occupazione, per enfatizzare una imminente vittoria. Successivamente almeno per negare una inequivocabile disfatta riconosciuta in primo luogo da esperti di strategia militare.

Tra le numerose voci di questi esperti, è particolarmente interessante  quella del tenente colonnello dell’esercito degli Stati Uniti, Daniel Davis, che dopo aver passato un anno in Afghanistan, come rappresentante della Forza rapida di equipaggiamento, ad incontrare molti soldati americani, i capi dell’esercito afghano ed i capi-villaggio, ha redatto un rapporto nel quale egli descrive la situazione tattica catastrofica sul terreno e le bugie dei capi militari. Un documento particolarmente imbarazzante per il comando degli Stati Uniti, soprattutto perché pubblicato sul Giornale delle forze armate con il titolo “Verità, bugie e Afghanistan. Come i capi militari ci hanno lasciato soccombere“.

In sintesi questo articolo esprime la convinzione del graduato Davis che le forze afghane siano molto riluttanti a combattere l’insurrezione, quando non addirittura conniventi con i talebani.

Nell’ultimo anno si sono moltiplicati i casi di perdita di controllo del territorio da parte delle truppe alleate. E nel settembre 2011 il tenente colonnello Davis, incontrando un responsabile locale afghano consigliere per le forze Usa, cui aveva chiesto un suo giudizio riguardo alla capacità delle forze afghane di resistere ai talebani dopo la partenza degli americani, si è sentito rispondere: “Non lo faranno. In questa regione, molti elementi delle forze di sicurezza hanno concluso un patto di non aggressione con i talebani: non gli sparano e i talebani stanno facendo lo stesso con loro “.

L’amara conclusione del tenente colonnello Davis, dopo aver percorso più di 9.000 miglia  di pattuglia, è la seguente: “In tutti i luoghi che ho visitato, la situazione tattica era cattiva o catastrofica. Gli eventi che ho descritto potrebbe essere parte di una situazione di guerra difficile per un paese impegnato in un conflitto da un anno, due anni o quattro anni. Ma è inconcepibile per le forze impegnate da 10 anni“.

Si tratta di una testimonianza molto importante, perché interna all’esercito degli Stati Uniti, e rivolta al Congresso ed all’opinione pubblica americana perché  giudichi se valga la pena di continuare la guerra afghana, con il suo alto prezzo in termini di vite umane e di costi, sulla base di elementi reali e veritieri e non sulla base della propaganda e delle menzogne. Essa contribuisce a squarciare un po’ quel rigido velo di silenzio e di stereotipi con cui i nostri grandi mezzi di comunicazione affrontano la decennale guerra afghana. E che dovrebbe dare coraggio al nostro Paese, proprio perché in questi anni ha sacrificato molte vite tra i militari italiani e profuso molte risorse per il controllo del territorio e per la ricostruzione, a pretendere dagli alleati maggiore chiarezza sugli obiettivi, una data certa per il ritiro, o almeno una data certa, come hanno fatto altri nostri alleati, oltre la quale l’impegno italiano in Afghanistan non sarà più assicurato dal nostro Paese.

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