Il partito del secolo, non di una contingenza di breve durata

Fare del Partito Democratico un partito del secolo, non di una contingenza di breve durata. Una prospettiva così impegnativa ha bisogno di pazienza, di forza e di generosità. La pazienza del confronto tra le posizioni e della faticosa maturazione di sintesi comuni. La forza delle idee che ragionano sul tempo lungo. La generosità del reciproco riconoscimento di coerenza e di buona fede. Non ho trovato pazienza, forza e generosità negli amici che in questi giorni hanno lasciato il PD. Rispetto ovviamente la loro scelta, e non faccio fatica e riconoscere che il loro abbandono ci richiama ad un problema politico non risolto, quello della pluralità del partito e della sua novità politica e culturale che è una delle sfide più importanti della nuova segreteria. Tuttavia mi pare  che ci troviamo di fronte ad una premeditazione o ad una rinuncia.

Non è accettabile la liquidazione preconcetta del partito che è uscito dal congresso come continuità della sinistra italiana. E sono convinto che i problemi si affrontano con un dibattito aperto, con il lavoro comune.  La casa della politica progressista nel nostro paese è questa, con tutte le sue contraddizioni e le sue difficoltà, ed è qui dentro che si lavora per mantenere fede al progetto originario.

Il PD è nato per essere l’erede delle tradizioni democratiche e riformatrici del nostro paese. Nessuna di queste tradizioni può essergli estranea, non quella della sinistra, né quella del cattolicesimo democratico e popolare, né quella liberaldemocratica. E contemporaneamente nessuna di queste tradizioni può esaurire l’identità del PD, che ha l’ambizione di trovare una risposta ai problemi nuovi che il mutamento culturale e sociale pone alla politica. Questa risposta può essere data soltanto attingendo alle culture politiche, alle radici profonde del pensiero e delle esperienze che hanno caratterizzato il nostro paese. Ci troviamo di fronte alla sfida di un nuovo umanesimo che sappia coniugare sviluppo e solidarietà, merito ed opportunità, libertà ed eguaglianza, etica e progresso scientifico. Per far questo ci servono le parole forti del nostro passato, che possono aiutarci a recuperare sentimenti, idee, tensioni morali, ed a costruire un punto di vista comune adatto ai tempi nuovi che ci attendono. Abbiamo bisogno di un’identità del PD che non sia  una semplice sommatoria o una mescolanza che fatica ad amalgamarsi. Possiamo riuscirci se ciascuno di noi è disposto a riconoscere che nel PD hanno piena cittadinanza e rappresentano la stessa tensione per l’uguaglianza, la dignità delle persone e lo sviluppo della società la storia della sinistra, quella del popolarismo di ispirazione religiosa e quella del liberalismo democratico. Nessuno si deve sentire estraneo od ospite temporaneo.

L’attenzione alla pluralità delle culture politiche che si riconoscono nel PD deve essere accompagnata dalla capacità di analizzare i cambiamenti della società italiana e le questioni che questi cambiamenti pongono al partito. Mi limito a sottolineare la straordinaria novità costituita dalle trasformazioni delle classi tradizionali, dall’irrompere di nuovi gruppi sociali, dall’esplosione della piccola impresa e di una schiera di lavoratori autonomi e di professionisti.  Questi fenomeni accompagnano l’esplosione di un individualismo e di un egoismo di piccoli gruppi che disegna una società frantumata in mille schegge. E’ il terreno di coltura del berlusconismo che, se non contrastato in modo adeguato, svilupperà una egemonia culturale, prima ancora che una supremazia politica, difficile da contrastare. La sfida consiste nella definizione di una proposta per la ricomposizione morale e civile del paese. E’ il compito del PD, e contemporaneamente la sua grande opportunità politica. Possiamo riuscirci soltanto se siamo capaci di parlare a tutta la società, a tutte le categorie. Il Pd deve puntare ad essere il partito della società italiana.

La ricomposizione culturale del paese deve avvenire prima di tutto intorno al tema della natura della nostra democrazia. E’ in atto un cambiamento, che introduce un modello lideristico e plebiscitario (un uomo solo al comando, scelto direttamente dal popolo, sottratto al controllo parlamentare e della giurisdizione) che contrasta con il sistema istituzionale previsto dalla Costituzione. La difesa dei principi fondamentali della repubblica, che hanno legato per più di mezzo secolo la democrazia politica e lo sviluppo sociale, è il primo banco di prova. Intorno ad un PD che si caratterizza per essere il partito della democrazia liberale, che difende l’equilibrio dei poteri, lo stato di diritto e la democrazia parlamentare si può costruire una rete di alleanze politiche e sociali che, partendo dalle forze di opposizione, sappia incunearsi nei dubbi della stessa maggioranza e costituire il primo tassello di una alternativa possibile. Il PD partito della Costituzione. Non è soltanto lo spazio per una iniziativa politica, ma un contributo alla definizione della sua identità.

Il PD, un moderno partito del lavoro e dello sviluppo. E’ la seconda grande sfida che abbiamo di fronte. Naturalmente tutto il lavoro: quello dipendente e quello autonomo. Naturalmente il lavoro nella sua capacità di organizzare risorse e fare impresa. Naturalmente il lavoro che produce reddito.
Abbiamo di fronte a noi due grandi emergenze. La prima è quella del drammatico peggioramento delle condizioni materiali di vita di tanti nostri concittadini, che rende più evidenti le disuguaglianze sociali. Sappiamo bene che l’Italia è il paese europeo dove i livelli di disuguaglianza sono più alti. Il Pd ha proposto interventi immediati, sul piano degli ammortizzatori sociali e della riduzione delle tasse per i redditi più bassi. Dobbiamo riprendere su questi temi l’iniziativa, anche a livello locale.
La seconda emergenza è quella delle imprese, soprattutto di quelle piccole e piccolissime, in grave crisi di liquidità e a rischio di chiusura.  Il nostro sistema produttivo rischia un impoverimento drammatico, se non ritorna nel Paese una politica industriale capace di lavorare per la sopravvivenza delle imprese in difficoltà, e contemporaneamente di creare le condizioni per il loro rafforzamento strutturale, sul piano della capacità innovativa dei prodotti, delle tecnologie, dell’organizzazione e della struttura aziendale.
Reddito, lavoro e imprese, i tre perni centrali di una strategia di politica economica capace di dare un contributo al profilo politico del PD. Come ha detto il segretario nazionale, “noi partiamo dal lavoro. Il lavoro è il problema più importante, e deve essere il primo impegno del nostro partito. Lavoro e impresa, a cominciare dalla piccola e media impresa

Il PD deve caratterizzarsi come il partito delle autonomie. Una vasta platea di amministratori attende un’iniziativa che contrasti la deriva centralista del governo. C’è un grande spazio politico su questo tema, come hanno dimostrato le mobilitazioni sulla riforma del patto di stabilità, in cui fianco a fianco sindaci di centro destra e di centro sinistra hanno rivendicato il diritto di usare le loro risorse per contrastare la crisi economica dei loro territori. Il nostro compito è di delineare una strategia generale, una proposta che sappia conciliare il governo della finanza pubblica con il riconoscimento dell’autonomia finanziaria dei comuni. Dobbiamo fare una seria battaglia contro l’abolizione dell’ICI, costruire un’alternativa a questo federalismo fiscale pasticcione, riprendere un ragionamento sulla riforma degli assetti delle autonomie locali. Non dobbiamo arroccarci nella difesa del passato, ma dobbiamo dire con chiarezza che il modello che emerge dal nuovo codice delle autonomie, di cui è probabile un rapido avvio della discussione parlamentare, non è accettabile per la mortificazione delle autonomie e per la cancellazione di una parte significativa della rappresentanza locale.

Per realizzare questi obiettivi abbiamo bisogno di un partito forte, strutturato, radicato sul territorio. Un partito che affida il suo rapporto con la società non ad una leadership carismatica ed alle tecniche di comunicazione, ma ad una larga base di iscritti e di militanti che sono presenti nei luoghi della vita collettiva e del lavoro, nelle comunità locali e di quartiere, nelle organizzazioni sindacali, in quelle economiche, sociali e culturali.
Il rilancio organizzativo non è sufficiente se non troviamo il modo di uscire dalla nostra autoreferenzialità, e riprendere le fila di un dialogo con la società. Un dialogo continuativo, strutturato, che non si basi soltanto sulla credibilità individuale di qualche dirigente, e che consenta al PD di interloquire con le rappresentanze degli interessi ricostruendo progressivamente dal basso un rapporto di fiducia che oggi è venuto largamente meno.

Le elezioni regionali di primavera saranno vere e proprie elezioni politiche di medio termine. Si verificherà allora se il Pd avrà saputo dare una risposta alla domanda di una fetta sempre più larga della società italiana che non è soddisfatta della situazione del paese, ma non vede alternative al governo della destra. Non è un obiettivo irraggiungibile: ci sono le prime fratture nel centro destra, e per la prima volta dopo tanto tempo la maggioranza è in difficoltà politica, attraversata da significative divisioni al suo interno. Servono progetti e programmi, ma serve soprattutto la forza tranquilla e “moderata” di un partito capace di trasmettere fiducia. La fiducia si trasmette con la competenza delle parole che si pronunciano, con lo stile dei comportamenti, con il clima di unità che si lascia trasparire.

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