Messaggi sull’IMF: che cosa rimane dopo Family 2012 ed intervista a don Antonio Mazzi

Non voglio tracciare un bilancio, per quello c’é tempo e serve più riflessione.

Vi propongo però qualche considerazione a caldo.

1 – Il nostro tempo ha ancora bisogno di simboli e momenti unificanti. Il Papa e gli eventi che hanno accompagnato la sua visita lo testimoniano con chiarezza. In momenti in cui tutto sembra individualizzato e frantumato, c’é grande bisogno di idenificazione e condivisione simbolica non effimera.

2 – La famiglia rimane un punto di riferimento per tutti. La si veda come si vuole, ma la famiglia é luogo di relazioni fondamentali e fondamento del vivere comune. Va riproposta come strada bella e possibile. É un compito culturale e pastorale, prima ancora che politico.

3 – La famiglia non va strumentalizzata o utilizzata come argomento per creare consenso. La famiglia va riconosciuta come ricchezza, non imposta. Occorre eliminare gli ostacoli che si trovano di fronte a chi intende creare e vivere la famiglia. Non servono privilegi, basterebbe non ci fossero penalizzazioni.

4 – Milano e i milanesi (e tutti i lombardi) rispondono adeguatamente quando sono chiamati a mettersi in gioco per sfide grandi. I nemici più grandi per Milano e la Lombardia sono la mediocrità e l’assenza di sfide (o sogni) impegnative. Ciascuno é disposto a mettere il suo piccolo mattoncino o a fare il suo piccolo sacrificio se lo vede collocato in un progetto grande e condiviso.

5 – Non dobbiamo rassegnaci al declino. Possiamo recuperare risorse insospettate anche laddove tutto sembra fermo. Possiamo creare valore e lavoro se non ci limitiamo a difendere gelosamente quanto abbiamo, ma ci mettiamo in un’ottica di relazione e apertura. La politica non deve garantire privilegi, ma sostenere e promuovere opportunità.

6 – É urgente recuperare la capacità di far festa assieme, di sorridere per qualcosa di cui tutti possiamo essere contenti, di gioire per quello che riusciamo a costruire assieme più che per quanto che abbiamo da soli. Bisogna riscoprire o ricostruire una sorta di pedagogia sociale della festa.

 

INTERVISTA A DON ANTONIO MAZZI

 

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