“In odio alla fede”. Pino Puglisi, martire
La decisione di Papa Benedetto XVI di riconoscere il martirio di don Pino Puglisi, avvenuto “in odio alla fede” il 15 settembre 1993, aprendo di fatto la strada alla beatificazione del parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia (il riconoscimento del martirio sostituisce la verifica di un miracolo, necessaria per i candidati alla beatificazione che non muoiono di morte violenta ), costituisce un importante precedente.
Infatti, se già Giovanni Paolo II aveva introdotto la figura innovativa del “martire della carità”, affermare che l’uccisione di don Puglisi avvenne in odio alla fede costituisce un passo avanti ancora più significativo. Generalmente, infatti, nella storia della Chiesa sono stati considerati martiri coloro che venivano uccisi dai pagani, dagli eretici, dagli scismatici ed in ultimo dai negatori di Dio: mai però si era affermato che l’uccisione di un cattolico da parte di altri cattolici battezzati, senza che venissero esplicitamente avanzate motivazioni di tipo religioso, fosse assimilabile ad un martirio “in odium fidei” come se a compierlo fosse stato un imperatore romano o l’appartenente ad una setta eretica.
Sì, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano , Gaspare Spatuzza e gli altri mandanti e complici di quel delitto erano cattolici, battezzati e cresimati e non colpiti da una qualsiasi censura ecclesiastica formale: e tuttavia uccidendo quel prete, uccidendolo soprattutto per le loro particolari ragioni, agirono direttamente contro il messaggio evangelico. E quali erano queste ragioni? Le ragioni di sempre della mafia: la sopraffazione, la violenza, il disprezzo del debole, la paura della verità, l’intolleranza verso chi denuncia una situazione insopportabile in cui l’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio viene oppresso da altri uomini in nome di un codice arcaico che non fa altro che mascherare l’antica legge della sopraffazione verso l’indifeso.
Ecco, con un semplice tratto di penna il Papa tedesco ha finalmente riconosciuto che questo non è possibile, se ci si dice cristiani e che se si agisce così, se non solo si viola il comandamento di non uccidere ma lo si viola per queste ragioni si agisce contro tutto ciò che il Vangelo di Cristo comanda e che don Pino cercò di testimoniare per tutta la sua vita e nella sua morte. Le stesse ragioni, non sempre comprese, che spinsero il Papa polacco ad asserire che anche l’uccisione ad Auschwitz di Santa Teresa Benedetta della Croce, la filosofa di origine israelita Edith Stein, avvenne in odio alla fede, perché nessun cristiano – nessun vero cristiano, che è altra cosa da un cristiano della domenica o da un ateo devoto- può condividere l’ideologia di Hitler e delle SS e discriminare e magari uccidere una persona in nome della sua appartenenza religiosa o etnica.
In questo modo, consapevolmente o meno non sappiamo, i due Papi di fatto incorporano il rifiuto della discriminazione e quello della sopraffazione sociale e politica nei valori portanti del Vangelo: in effetti c’erano già, ma l’affermazione che emerge dal riconoscimento solenne di figure come quelle di don Pino e di Edith Stein è particolarmente importante perché dimostra come l’impegno per la giustizia sia una delle strade della testimonianza evangelica, forse una delle più affascinanti ed impervie nel mondo d’oggi.
A questo punto, per ovvia coerenza, crediamo che non vi siano più ostacoli possibili ad altre beatificazioni, peraltro già avvenute nel cuore dei popoli, a partire da quella di mons. Oscar Arnulfo Romero, il Vescovo di San Salvador ucciso sull’altare, come Thomas Becket, assassinato lui pure da persone che si dicevano cristiane e magari difensori della “civiltà cristiana” quando non erano che dei miserabili macellai al servizio di chi voleva mantenere l’oppressione del ricco sul debole che il Vescovo, da autentico annunciatore del Vangelo, denunciava come offesa al messaggio di Cristo.
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