Rio+20, l’Italia raccolga la sfida della green economy
La conferenza “Rio+20” in corso nella metropoli brasiliana, rappresenta un’occasione importante per confermare l’impegno per lo sviluppo sostenibile a livello globale in una fase molto critica per l’economia, nella quale sembrano prevalere le ragioni di una finanza avulsa dall’economia reale ed interessata più che altro a forme di profitto immediato che danneggiano tanto l’ambiente quanto il tessuto economico e sociale.
Per questo è più che mai necessaria la partecipazione di tutti i settori della società perché lo sviluppo sostenibile non può essere raggiunto dai soli governi ma necessita anche della presenza delle organizzazioni della società civile, del volontariato, del non profit. Il Terzo Settore in particolare può partecipare in modo attivo e contribuire concretamente al raggiungimento degli obiettivi della Conferenza.
Per questo scopo i numeri nel nostro Paese ci sono, ciò che difetta sono semmai le politiche.
I dati più recenti, come quelli, ad esempio, del nuovo rapporto di Iris Network (la rete nazionale degli istituti di ricerca sull’impresa sociale), individuano sul territorio nazionale oltre centomila organizzazioni che costituiscono un vasto “potenziale di imprenditorialità sociale”, alcune già organizzate in impresa sociale, moltissime in forma cooperativa.
In Italia esiste un interessante mix di esperienze consolidate ed emergenti, radicato nei tessuti comunitari e parte integrante del sistema produttivo e istituzionale del nostro Paese.
Ciò che più manca sono politiche coerenti su tutti i livelli: locale, nazionale, comunitario. L’impressione è che anche l’economia verde risenta della debolezza della politica nel dettare l’agenda dei temi da affrontare. Ciò è particolarmente grave in considerazione del momento drammatico che stiamo attraversando dal punto di vista economico e sociale.
Invece è lo stesso obiettivo della conferenza “Rio+20” a chiederci di rafforzare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile che porti ad affermare un nuovo paradigma di crescita economica, socialmente equa e ambientalmente sostenibile.
Penso che il contributo maggiore che il terzo settore può dare alle ragioni della green economy ed il contributo maggiore che questa può dare alle politiche di contrasto e per il superamento della crisi sia quello di saper porre innanzitutto delle questioni di interesse generale, rispetto ai pur importanti punti settoriali. Dal terzo settore, ad esempio possono venire innumerevoli esempi di come politiche che siano dettate prioritariamente da ragioni contabili non siano alla lunga sostenibili né sul piano ambientale né tantomeno su quello economico e sociale. Privatizzazioni, dismissioni, liberalizzazioni affrettate per fare cassa non di rado producono sui territori effetti a catena fino ad intaccare i minimi presidi ambientali, sociali e di tutela della sicurezza dei cittadini e dei lavoratori. Se anche lo stato, il settore pubblico si lascia ingannare dal mito del profitto immediato, senza una visione di prospettiva, senza un bilancio sociale capace di dare un senso alle spese, anche la green economy ne risente, perchè rimane tollerata come fenomeno di nicchia e non considerata nelle sue straordinarie potenzialità per lo sviluppo.
In questo senso credo che la causa ambientalista possa esercitare una funzione di stimolo verso la politica, incitandola a cambiare paradigma. Il rigore, pur necessario, entro certi limiti dettati dal buon senso, per risanare i bilanci, da un punto di vista strettamente contabile si sta mostrando la classica medicina che finisce per uccidere il malato.
Bisognerebbe allora favorire la ripresa con misure di natura espansiva, molte delle quali dovrebbero riguardare la green economy, anziché ostinarsi ad applicare un cieco piano di austerità che rischia di frenare il Pil, riducendo di conseguenza le entrate fiscali e degradando ancor di più gli equilibri della finanza pubblica. Più ancora che a Roma, questo nodo andrebbe in realtà sciolto in sede europea. L’Unione deve rapidamente dotarsi di meccanismi anticiclici: espansivi quando i mercati peggiorano e restrittivi quando si riaccende la ripresa. In mancanza di ciò, la strada verso la crescita sarà più impervia che mai e molte delle potenzialità della green economy rischiano di rimanere inespresse.
C’è quindi una cornice che deve mutare. Ed all’interno di questa nuova cornice si devono situare le strategie compressive per un nuovo percorso di sviluppo basato sulla riduzione degli sprechi e sulla cultura del riciclo, sulle energie sostenibili e rinnovabili, realizzate nel rispetto del paesaggio e senza ulteriore consumo di suolo agricolo, sull’aumento dell’efficienza energetica degli edifici, a cominciare da quelli pubblici, sulle filiere corte e le produzioni biologiche, sul divieto degli OGM, ecc.
Ed in questa via verso un nuovo assetto per lo sviluppo sostenibile globale che verrà ribadita a Rio, si colloca anche un altro grande appuntamento globale che avrà luogo nel 2015 in Italia, a Milano: l’Expo sui temi dell’alimentazione.
Credo che questa costituirà una occasione formidabile per rilanciare i temi di Rio+20 e per fare in modo l’Expo 2015 divenga un punto di svolta nell’impegno globale per garantire condizioni di produzione di cibo ed energia che siano nel contempo più efficienti e più giuste: tutto ciò, come l’attuazione dell’agenda di Rio+20, sarà possibile solo, come chiede il manifesto per l’Expo dei popoli, con un forte sforzo congiunto delle istituzioni, della società civile e dei “produttori”, che porti la politica a stabilire nuove regole condivise e lungimiranti.
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