Il baricentro del PD

Mentre è ormai chiaro che ci si avvia alla scadenza naturale della legislatura e che al governo Monti sino alla primavera del 2013 non ci sono alternative, la situazione economica e sociale del Paese, nonostante gli sforzi di risanamento dei conti, continua a peggiorare per i ceti lavoratori, le famiglie e le imprese, come ci dicono molti dei dati relativi alla produzione, al lavoro ed al reddito. L’inizio dello scoppio della bolla dei derivati, che sta facendo tremare i colossi del credito, si prospetta come lo stadio più terribile della crisi finanziaria, proprio in una fase in cui si assiste sul piano internazionale ad una epocale redistribuzione dei poteri. Il nuovo e fragile equilibrio multipolare che sta emergendo, si trova già a dover affrontare le tante possibili derive a cui ci espone un sistema finanziario fuori controllo.

Il mondo cambia velocemente e non possiamo immaginare in che situazione si svolgeranno le prossime elezioni. Per questo il tempo che ci separa da tale scadenza dovrebbe essere speso nella definizione di una strategia e di un programma per affrontare una fase inedita piuttosto che solamente per operazioni politiche di corto respiro. In particolare per i cattolici, in particolare per il Partito Democratico.

I cattolici nel PD possono dare un contributo significativo in tale direzione anche perché è davvero un po’ ancronistico, a cinquant’anni dal Concilio, il richiamo all’unità dei cattolici in politica venuto nelle settimane scorse dalle colonne del più grande giornale laico italiano. Quella parte di cattolici che in nome di un sano e consolidato pluralismo ha scelto il Partito Democratico, ha la possibilità di incidere su ciò che vuole divenire il PD sul piano della rappresentanza e su quello politico e culturale.

Se il PD vuole qualificarsi come partito di popolo non può che rivolgersi all’insieme di quella classe media oggi in caduta libera a causa della crisi per ridarle ruolo politico e dignità sociale. Appare un po’ sterile la polemica sull’interlocuzione privilegiata del PD con il lavoro subordinato, perché la voracità della speculazione finanziaria nell’accaparrarsi la ricchezza dei popoli in questi ultimi anni ha messo dalla stessa parte su molte cose importanti lavoratori di qualunque tipo, famiglie, imprese, settore pubblico come soggetti dell’ ”economia reale” presi di mira dall’ ”economia di carta”. Per questo ritengo che la proposta dei Democratici si debba qualificare innanzitutto sui temi economici e sociali, indicando le correzioni alle attuali derive, ed attraverso una linea politica adeguata a questi tempi difficili. Se si individua in ciò il baricentro del partito anche le altre questioni appariranno gestibili senza troppe lacerazioni interne e con l’elettorato.

Un grande partito, che si qualifica innanzitutto per la propria visione economica, sociale, istituzionale e che si presenta come un partito di centro sinistra. Sotto questo profilo la linea politica della segreteria Bersani, condivisibile nella sostanza, risulta piuttosto mal espressa nella forma quando insiste nel proporre un patto fra progressisti e moderati che sembrerebbe quasi la negazione stessa del PD come partito che unisce le varie forze riformatrici. Il PD può certo stipulare delle alleanze le quali però non aggiungono o tolgono nulla al carattere plurale del partito, formato da riformismi diversi chiamati ad esprimere un progetto politico unitario.

Questa pluralità del PD emerge anche nella discussione in atto sui diritti civili, affrontata nell’Assemblea Nazionale del 14 luglio scorso. L’apertura al riconoscimento giuridico delle coppie non composte da un uomo e da una donna, oltre ad estendere l’attenzione ai diritti di tutte le forme di convivenza, non solo quelle gay, rappresenta un punto di equilibrio accettabile da sensibilità diverse che solo le posizioni più intransigenti che vorrebbero trasformare il Pd in una sorta di partito radicale di massa, possono rimettere in discussione, rischiando di pregiudicare con ciò lo stesso progetto del PD. Si tratta di temi delicatissimi ed in sé anche più grandi ed importanti di quelli socio – economici e tuttavia il maggior partito italiano deve tener presente che oggi il principale problema che attanaglia i ceti medi, popolari e lavoratori è il mantenimento di un decente standard di vita, che consenta poi alle persone di impostare i progetti di vita in piena libertà. Se non si tiene conto di ciò si dà un’impostazione radicale al tema dei diritti civili.

L’altro tema sul quale, a mio avviso, sarebbe un grave errore collocare il baricentro del PD, è quello delle primarie. Sulle quali si assiste ad una discussione che lascia per certi versi sconcertati. Come si fa ora ad impostare le prossime primarie senza conoscere né la composizione dell’alleanza futura, né la legge elettorale con cui si voterà nel 2013?

Se solo tutto il PD giungesse a proporre l’adozione di un nuovo sistema elettorale a base proporzionale, oltre a mettere definitivamente fuori gioco il rientro di Berlusconi ed a porre termine all’esperienza non esaltante della seconda repubblica, il ricorso alle primarie risulterebbe superfluo, perché il candidato a premier sarebbe naturalmente il segretario del partito.

Inoltre, risulta evidente per chi crede in un partito all’europea e non in un comitato elettorale finanziato ed eterodiretto da pochi miliardari, che Bersani non potrebbe restare ancora segretario del Pd se dovesse perdere le ipotetiche primarie contro Renzi o quant’altri.

Anche qui è in gioco la natura del Partito Democratico, ed un uso disinvolto e dissennato di uno strumento che talora può essere utile come le primarie, rischia di travisarla.

Solo un Pd capace di esercizio di responsabilità e di compattarsi al suo interno su ciò che unisce, evitando delle forzature sulle diversità, potrà rimanere in corsa per la guida del Paese, proponendo prima di tutto una strategia per le enormi difficoltà della tempestosa fase attuale, che contempli chiari segnali di riscatto e di speranza per la classe media e non l’azzardo democratico di un suo ulteriore impoverimento.

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