Di lavoro o si vive o si muore
Troppo spesso negli ultimi anni abbiamo assistito alle morti innocenti di migliaia di lavoratori causate dalla mancata messa in sicurezza degli stabilimenti industriali e non ci siamo interrogati abbastanza sulle conseguenze degli incidenti fatali che hanno causato troppe vittime tra i lavoratori di diverse aree del pianeta.
Ed è quando accadono tragedie come quella dello scorso nombre in Pakistan, dove terribili incendi hanno causato centinaia di vittime, che torna agli onori della cronaca un tema troppo spesso taciuto e dimenticato: quello della sicurezza sul lavoro. Alcuni giorni fa il terribile incendio avvenuto in Bangladesh, alle porte della capitale Dacca, in un’area industriale con moltissime aziende che producono abiti per i grandi e famosi brand occidentali, ci ha riportato davanti agli occhi l’ennesima tragedia che si poteva evitare. Tra le vittime c’erano 110 donne, le operaie della Tazreen Fashions, che sono arse vive nella loro fabbrica, dove non c’era neanche un’uscita antincendio all’esterno dell’edificio.
La causa dell’80% di tutti gli incendi industriali in Bangladesh, pare sia dovuta a cablaggi difettosi e i famosi brand che vanno a produrre in quei luoghi, non ignorano che la maggior parte delle strutture in cui scelgono di avviare la loro attività, rischiano di essere delle trappole mortali e tuttavia non adottano misure di sicurezza tali da evitare tragedie come questa.
La situazione non è rassicurante neanche nel nostro Paese, è impossibile dimenticare infatti i sette operai morti nello stabilimento della ThyssenKrupp di Torino nel 2007, così come l’incendio presso l’ENI di Taranto dello scorso 10 settembre, costato il grave ferimento di un operaio miracolosamente scampato alla morte. Ma di casi come questi, purtroppo, se ne contano tanti, troppi. Ciò che manca in Italia non sono certo le leggi sulla regolamentazione delle misure di sicurezza nei posti di lavoro, ma piuttosto una cultura della sicurezza che vada ad inserirsi nel tessuto produttivo delle imprese e nella compagine dei lavoratori in tutta la sua ampiezza. Le aziende spinte da un diffuso senso d’impunità, vedono spesso nelle norme sulla sicurezza e nella formazione dei lavoratori solo un costo aggiuntivo. La sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro non possono essere considerate un impegno di una singola parte, ma richiedono una costante e continua partecipazione dell’intero e complesso mondo del lavoro affinché si realizzi nella sua globalità.
Come non meditare sulla vicenda dell’ILVA di Taranto di questi ultimi mesi, il grande stabilimento siderurgico al centro di un’inchiesta per disastro ambientale e altri reati, che nei giorni scorsi ha portato a un provvedimento di sequestro da parte della magistratura che ne ha fermato la produzione, costringendo gli oltre 5000 lavoratori a restare fuori dalla fabbrica. Con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un decreto legge, si permetterà alla produzione di ripartire nell’ambito di un percorso concordato di risanamento, attraverso investimenti da parte dell’azienda, con controlli periodici e una supervisione affidata a un organismo indipendente, ma la questione è delicata e ancora aperta, con la magistratura che non si trova d’accordo con i provvedimenti adottati dal governo e che fa appello alle norme costituzionali che tutelano la salute della collettività.
Non possiamo pensare dunque che lo sviluppo economico possa essere realizzato al di fuori di un’opportuna e necessaria considerazione di due elementi: il rispetto dei diritti e della vita dei lavoratori, soprattutto dei diritti umani, e la tutela dell’ambiente. Solamente uno sviluppo che tenga conto di questi fattori può dirsi sostenibile, poiché può garantire che non solo la generazione presente, ma anche quelle future fruiscano del benessere economico e al tempo stesso, godano del patrimonio ambientale, in una società che sia degna di essere considerata una società di diritto. Le imprese sono chiamate a impegnarsi a rispettare non soltanto la legge, cioè il diritto nazionale dello Stato in cui operano, ma anche standard di condotta più elevati che nel loro complesso riguardano la relazione virtuosa tra l’impresa e tutti gli stakeholders a vario titolo toccati dalle sue attività.
Si impone oggi la necessità di rinnovare strumenti e tecniche per la tutela del lavoro in imprese solide e competitive, necessità sottolineata anche concretamente all’Unioune Europea con diverse direttive. La sfida verso la sperimentazione di soluzioni innovative vale anche per il nostro Paese, dove negli ultimi anni è sembrato che si dovessero contrapporre le ragioni dell’impresa a quelle del lavoro. Non è questo che l’Europa ci chiede, invitandoci piuttosto a trovare regole e forme entro cui sperimentare nuove combinazioni di interessi.
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