Un Conclave difficile
Ora che l’inizio del Conclave è stato fissato per il 12 marzo entra nel vivo la discussione sul prossimo Pontefice che mai come adesso ha attirato l’attenzione della pubblica opinione, interna ed esterna alla Chiesa cattolica. Infatti, se l’elezione di un Papa non è mai per definizione un fatto ordinario, il gesto di Benedetto XVI di rinunciare al pontificato, oltre ad essere vissuto come una rottura del naturale ciclo espresso dal detto popolare “morto un Papa se ne fa un altro”, ha anche messo sotto una luce drammatica le vicende della Chiesa universale negli ultimi anni, evidenziando quelli che sono i nodi tematici lasciati irrisolti dal breve regno del Papa teologo.
Il pontificato di Joseph Ratzinger si aprì in una fase in cui stavano emergendo i problemi e le polarizzazioni che la gestione carismatica di Giovanni Paolo II aveva coperto e differito ma non risolto: il fatto stesso che uno dei primi gesti del Papa tedesco sia stato quello di condannare severamente per la sua vita dissoluta il fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel, che era stato onorato oltre ogni dire negli anni del Papa polacco, testimoniava nel senso di una diffusa volontà di pulizia rispetto a vicende intollerabili in cui si manifestavano le debolezze umane intorno ai tre tradizionali capitoli del potere, del denaro e del sesso.
Ma prima ancora, a livello geopolitico e teologico l’elezione di Benedetto XVI, probabilmente al di là della volontà stessa del nuovo Pontefice, venne assunta da molti osservatori, e anche da molti uomini di Chiesa, come il segnale della chiusura definitiva della “primavera della Chiesa” aperta dal Concilio Vaticano II, con il ritorno ad una Chiesa cattolica che si misurava aggressivamente con il mondo in una logica di riconquista, facendosi nello stesso tempo supporto e copromotrice della campagna “neo – con” per la difesa dei “valori occidentali” contro la minaccia islamica, ultimo dei vari “satana” di rincalzo che la propaganda imperiale nordamericana aveva fabbricato dopo la caduta del “grande satana” comunista nel 1989.
La declinazione italiana di questo percorso, grazie alla spregiudicata gestione della CEI tutta politicistica del card. Camillo Ruini consisteva in un pratico collateralismo nei confronti della destra berlusconiana e leghista che veniva proseguito ultra vires anche quando le vicende delle varie Noemi e Ruby e Nicole erano già abbastanza note e soprattutto era sotto gli occhi di chiunque lo sfascio politico, economico e morale di un Paese mal governato.
Ma prescindendo da queste vicende ormai datate, visto che ormai di “neo-con” e “teo-con” si può parlare solo al passato remoto, il problema alla base della rinuncia di Papa Benedetto , al di là delle evidenti e conclamate ragioni di carattere fisico e psicologico, sono riconducibili alle difficoltà incontrate dal Pontefice su alcuni dossier sensibili che si sono trasformate in altrettanti scacchi che hanno coinvolto tanto Ratzinger quanto la Chiesa intera nella quale il Papa detiene la totalità del potere legislativo, esecutivo e giudiziario che ricorda immediatamente alcuni sovrani assoluti come il re dell’Arabia Saudita, con la differenza che il potere del Pontefice si esercita a livello universale.
Il primo scacco è quello legato alla riforma della Curia, che è evidentemente fallita nel momento in cui le lotte per clan che da sempre dividono questo organismo – come tutti gli organismi complessi di tale tipo, i quali però in genere non pretendono di avere origine divina- sono uscite dal loro alveo profittando prima del lungo declino di Giovanni Paolo II e poi del disinteresse per le questioni di governo di Benedetto XVI. Come ha dimostrato la vicenda del “Corvo” Paolo Gabriele (ma era soltanto lui? ) il clima interno della Curia vaticana è stato reso irrespirabile dalla pratica diffusa della delazione e degli anonimi, e dalla tendenza alle lotte trasversali come quella fra Segreteria di Stato e CEI da cui uscì stritolato Dino Boffo, oppure dall’inesausta lotta per la gestione delle finanze vaticane che portarono all’estromissione prima di mons. Carlo Maria Viganò e poi di Ettore Gotti Tedeschi. Si può concordare o meno sull’azione di coloro che portarono queste carte all’attenzione di Gianluigi Nuzzi che se ne servì poi in qualche trasmissione televisiva e in un libro, ma è certo che dal Watergate in poi lo scandalismo è il contrappasso della mancanza di trasparenza.
Il secondo scacco è quello legato alla tematica vitale della “nuova evangelizzazione”: prescindendo dalle persone e dalle ideologie con cui si tenta di perseguire questo scopo, è un dato di fatto che la Chiesa si trova oggi di fronte a crescenti difficoltà a far giungere il suo messaggio ad ampie fasce di persone nel Nord e nel Sud del mondo. La diffusa secolarizzazione al Nord, come pure le gravi questioni sociali al Sud (spesso accompagnate dall’irruzione di nuove sette di matrice evangelica) sono problemi oggettivi a cui la Chiesa non riesce a dar risposta. Contro la secolarizzazione non ha giovato la prima reazione di ordine moralistico, come pure la seconda di ordine carismatico e la terza di carattere intellettualistico e libresco: sarebbe forse il tempo di un approccio di carattere evangelico, se ve ne fosse la capacità. Da questo punto di vista, gli approcci di Papa Ratzinger in ordine al rilancio del diritto naturale come terreno comune di dialogo non possono dirsi un successo in un contesto in cui di fatto tale posizione è rimasta unicamente appannaggio dei cattolici (e nemmeno tutti), come pure è caduta nel vuoto l’esortazione a vivere “come se Dio ci fosse”, impostando di conseguenza la legislazione e l’azione sociale.
Il terzo scacco viene dalla vicenda terribile della pedofilia clericale. Occorre dire che Benedetto XVI ha operato con decisione ed energia per far fronte a questo grave problema riformando la legge canonica in modo tale da poter celermente dimettere dallo stato clericale i colpevoli e consegnarli poi ai giudici secolari. Tuttavia le indecisioni, le incertezze e le complicità anche solo per omissione degli scorsi anni pesano ancora e gettano le loro ombre anche su alcuni partecipanti a questo Conclave. E però anche da qui potrebbe venire qualche utile riflessione, soprattutto se si desse retta a quegli psicoterapeuti che hanno avuto in cura i preti colpevoli di atti di pedofilia, concludendo pressoché all’unanimità che tali gravi crimini non avevano primariamente motivazioni sessuali, ma soprattutto trovavano la loro origine nella volontà di potere connaturata ad una forma distorta di educazione ricevuta negli anni della loro formazione sacerdotale. Ecco, una riflessione sul concetto di “potere” nella Chiesa e di come esso informi di sé la struttura e la mentalità clericale sarebbe probabilmente un buon metodo per costruire personalità meno a rischio di disturbi e distorsioni.
Il quarto scacco, come è ovvio, viene dalla mancata conclusione dell’accordo con la Fraternità sacerdotale San Pio X, gli eredi del Vescovo anticonciliare Lefebvre: qui occorre dire che il Pontefice emerito si è speso con tutto se stesso, prima liberalizzando l’uso della Messa preconciliare (con il rischio di creare qualche frizione nelle comunità parrocchiali, che solo la generale indifferenza alla questione ha evitato) poi togliendo senza alcuna condizione la scomunica che a suo tempo era stata decretata contro i Vescovi ordinati illecitamente, con una fretta tale da ignorare, e fu un grave errore) le dichiarazioni antisemite di uno di essi. La risposta? Dilazioni, dichiarazioni ipocrite o offensive, incapacità di avere una risposta chiara sulla questione capitale dell’ accettazione o meno degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, e sostanziale messa in minoranza della posizione “possibilista” del Superiore mons. Fellay da parte di una comunità che è andata radicalizzandosi nelle sue posizioni.
Occorre dirlo: il problema è il Concilio, e non solo rispetto ai lefebvriani. In un sito internet insospettabile di “progressismo” il teologo Filippo Giorgianni ha ricordato con nettezza pochi giorni prima della rinuncia di Benedetto come la questione del pieno inserimento del Vaticano II nella Tradizione cattolica sia questione risolta per voce del Papa emerito e dei suoi predecessori, e che tutti coloro che sul fronte tradizionalista, siano o meno in comunione con Roma, lo mettono in dubbio, e ritengono sbagliate non le “interpretazioni” ma la “lettera” del Concilio (come nel caso dei vari Gherardini e De Mattei) di fatto negano l’autorità di questi Pontefici.
Ciò sta a significare il livello di radicalizzazione a cui è giunta certa destra ecclesiastica, e basta leggere gli insulti che su alcuni blog fioriscono contro Ratzinger accusato più o meno di viltà e tradimento: d’altro canto, che questo Papa sia stato una delusione per tutti coloro che sognavano sic et simpliciter l’abolizione delle riforme conciliari, a partire da quella liturgica si sapeva da tempo. Solo che la mediazione della “riforma nella continuità” probabilmente non basta più.
Il tempo presente richiede scelte decise, magari ricordando episodi del Vecchio Testamento come la rampogna di Elia agli Israeliti: “Fino a quando zoppicherete da due gambe?” o il realistico ammonimento di Gesù per cui “una casa divisa non resta in piedi”. Atteso che indietro non si torna quando si va avanti? Quando si ripenserà il ministero petrino in funzione economica, si addiverrà ad una più matura e realistica concezione della sessualità umana, dell’esercizio del potere nella Chiesa, del ruolo dei laici e delle donne? Lo si voglia o meno questi problemi, anche se non in forma esplicita, dovranno essere all’attenzione del nuovo Papa e dei suoi elettori, sapendo che la figura del Pontefice esce essa stessa “secolarizzata” e “relativizzata” dal gesto di Benedetto XVI. In questo, effettivamente, aveva ragione il card. Martini, questo Papa ci ha riservato delle sorprese.
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