Il reddito minimo in difesa dell’esistente o un modello sociale più equo?

Il reddito minimo garantito rappresenta una misura da prendere in considerazione innanzitutto in questa fase acuta della crisi. Di fronte a tante famiglie che non hanno più il pane, perché i percettori di reddito hanno perso il lavoro, qualcosa occorre fare. E se non c’è la cassa in deroga o qualche altra forma di ammortizzatore sociale, funge allo scopo anche il reddito minimo.

Oggi non siamo nelle condizioni di poter immaginare una istituzione del reddito di cittadinanza condizionato in forma stabile, perché le condizioni non sono normali. Siamo purtroppo di fronte ad un’emergenza economica e sociale gravissima che può avere degli sviluppi di qualunque tipo.

Serve un’alleanza tra lo Stato, il Terzo settore, il volontariato, il mondo produttivo e datoriale, avvalendosi del principio di sussidiarietà per combattere gli squilibri che negli ultimi anni sono andati sempre più aggravandosi.

Nel 2013 si supererà ampiamente i 3,5 milioni di persone “assolutamente povere” certificate ufficialmente dall’Istat per il 2011. Inoltre, secondo l’Istat, nel 2011 le famiglie in condizioni di povertà relativa erano l’11,1 per cento; si tratta di 8,2 milioni di individui poveri, il 13,6 per cento della popolazione residente.

Di fronte ad una tale emergenza non si deve guardare tanto per il sottile: ciò che inverte la tendenza all’impoverimento dei ceti medi e lavoratori, ciò che dà reddito alle famiglie va preso in considerazione. Ma se vogliamo invece volgere lo sguardo ad un auspicabile ritorno a condizioni di normalità, allora credo vada detto con chiarezza che il reddito minimo corre il rischio di divenire la foglia di fico che nasconde le nefandezze di un sistema che si è rivelato in questi anni spogliatore della dignità del lavoro e delle risorse delle famiglie, delle imprese e degli enti pubblici a favore delle grandi banche d’affari internazionali e delle loro alchimie finanziarie. Questo sistema va solo superato e sperare che non torni mai più a insidiare la serenità della famiglia umana a livello globale.

Molto meglio del reddito minimo risulta allora un sistema nel quale il potere politico possa esprimere una reale politica economica e monetaria, nel quale sia regolata la finanza speculativa e le banche tornino al servizio dell’economia reale, nel quale il lavoro precario rappresenta una rara eccezionalità e tutto tende invece alla stabilità del lavoro ed all’incremento delle retribuzioni non solo legato alle competenze ma anche all’avanzamento dell’età del lavoratore e dell’aumento dei suoi carichi familiari, nel quale il lavoro sia dignitosamente retribuito, nel quale il risparmio familiare sia tutelato e non corra il rischio di aberrazioni cipriote, di esproprio dei beni dei poveri per salvare i colossi della finanza, nel quale vi sia una vasta gamma di servizi accessibili per fasce di reddito in modo da attenuare le disuguaglianze sociali.

In definitiva, se la crisi diverrà l’occasione per costruire un sistema economico e sociale con al centro la persona umana, ciò varrà molto di più di misure che rischiano di apparire di facciata come il reddito minimo, usate per coprire devastazioni sociali sempre più ampie ed insanabili.

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