Una donna al Quirinale, immaginando un Paese migliore
Una donna, sì. La prima Presidente della Repubblica Italiana: sarebbe un segno di cambiamento, una vera svolta, quella che potrebbe arrivare dal 18 aprile in poi, data di inizio delle consultazioni per la successione di Napolitano. Ma non una donna, purché sia una donna, ma una donna che incarni, sostenga e rappresenti attraverso la libertà e la determinazione femminile, l’aspetto solo positivo del potere, svincolato dalle gerarchie e dai compromessi, quel potere che risiede in una forma di autorevolezza che possa essere riconosciuta “naturalmente”, senza imposizioni, nel segno della continuità della competenza al Colle. Una Presidente di spessore culturale e politico, riconosciuta e apprezzata a larga maggioranza e anche a livello internazionale, ove tale riconoscimento rappresenti l’elemento di coesione del Paese, non più disgregato, ma capace di esprimere istituzioni condivise in cui riconoscersi.
Una donna darebbe garanzia di contenuto e spessore ai valori e ai diritti, sviluppando una visione d’insieme improntata all’interesse generale, alla giustizia sociale, all’equità. La democrazia per funzionare ha bisogno di cambiamenti e ormai siamo pronti per questo passaggio, tutto in questi ultimi tempi lo lascia presagire e affermare. La Presidente si farebbe garante assoluta di quel bellissimo manifesto che abbiamo in Italia, la nostra Costituzione, innervato all’idea di bene comune e ispirato alla priorità del diritto. Abbiamo un ordinamento che non contempla l’asservimento dello Stato alla dittatura del mercato, ma assicura una gerarchia di valori dominata dalla sovranità popolare e da una mirabile mappa di diritti: al lavoro, alla salute, all’eguaglianza, alla libertà, alla cultura, alla democrazia. La figura del nuovo Presidente, proprio in quanto donna, avrebbe la capacità di ridare equilibrio e stabilità in tal senso, diminuendo la divaricazione avvenuta tra questi diritti e le azioni politiche degli ultimi tempi, impiantando con concretezza, nell’accezione di concrescere, cioè di amalgamare e tenere insieme, un seme di ricostruzione dell’unità nazionale, evitando ulteriori azioni di compromissione della giustizia e di svuotamento della democrazia. Agendo con giustizia, con umanità e mostrando una metodica femminile alla gestione dell’amministrazione dello Stato, costituirebbe proprio una svolta di cui il Paese ha bisogno per ripartire su basi di credibilità che siano fuori dalla vecchie logiche dei partiti. Occorrerebbe insomma una Presidente che sapesse tutto della politica, ma che fosse capace di guardare fuori dai palazzi della politica, aprendo nuove speranze.
Che idea di potere potrebbe esprimere dunque una donna al Quirinale, in questo contesto storico e politico? Che cambiamento culturale rappresenterebbe per il Paese la più alta carica dello Stato, ricoperta, per la prima volta nella storia della Repubblica, da una donna? Che tipo di potere eserciterebbe, l’inquilina del Quirinale? Esistono molte concezioni del potere, che riflettono diverse tradizioni storiche, il potere concepito sempre come la facoltà di esercitare o rappresentare forza, potenza, energia, abilità, che rappresenta anche il dominio, l’autorità, il governo. Questa è l’idea che la maggior parte di noi ha sul potere e che si è radicata nella nostra cultura. Probabilmente perché abbiamo legato il concetto alla capacità di aumentare la propria forza, o la propria autorità o la propria influenza, e anche di controllare e di limitare gli altri , esercitando un dominio. Ciò che rappresenta il potere, quando invece viene espresso ed esercitato da una donna, è qualcosa che riconduce all’altro, qualcosa che ha ben presente il concetto di relazione, non c’è infatti idea di costruzione del potere, da parte delle donne, che non contempli l’esperienza relazionale. Una donna al Quirinale userebbe il proprio potere per favorire la crescita altrui, in una sorta di processo che può essere definito come l’uso del potere per aumentare quello degli altri, aumentando le loro risorse, le loro capacità, la loro efficienza e abilità nell’agire. Nel prendersi cura o nel nutrire, per le donne sono componenti importanti le azioni e le interazioni che promuovono la crescita dell’altro a vari livelli, psicologico e intellettuale. È questo un processo di crescita, esercizio di una grande potenza, che le donne hanno sempre esercitato, ma che d’abitudine non è incluso nelle concezioni di comando.
Oggi è questo tipo di potere, flessibile e partecipativo, legato alla crescita degli altri, allo stabilire relazioni e collegamenti, di cui avrebbe bisogno la politica e il Paese, il potere che equivale a mantenere una relazione veramente paritaria anche quando vi è una sproporzione nel potere che si esercita, che significa avere autorevolezza senza autoritarismo, che concepisce la politica solo come “fare bene”.
Ci auguriamo dunque che sia una donna a presiedere la Repubblica Italiana e che femminile sia quel nome che uscirà dalle votazioni del Parlamento, costituito al 30,8% da donne, dato che ci porta avanti per partecipazione a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Questo è quello che auguriamo al Paese, anche dopo segnali di speranza come l’elezione di Laura Boldrini a presidente della Camera, la terza donna in sessantasette anni di storia della Repubblica. Speriamo che l’Italia possa vivere, finalmente, la novità di avere una donna anche al Quirinale.
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