Cristiani e carcerati: uno stile di condivisione

Pubblichiamo stralci dell’intervento di S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, al Convegno Nazionale dei Cappellani delle Carceri Italiane, il 22 ottobre 2013 a Sacrofano (RM),  sul tema “Giustizia: pena o riconciliazione”.

carcereTutti conosciamo la situazione delle carceri nel nostro Paese: da troppi anni in esse si vivono gravi problematiche, prima fra tutte quella del sovraffollamento, che determina condizioni di vita disagiate e spesso ai limiti della sopportazione umana. Si ha l’impressione che la questione della condizione di vita dei detenuti, oltre a quella dei progetti di recupero e di reinserimento e dei relativi investimenti, non venga mai affrontata con la necessaria determinazione e progettualità. Sembra che si tratti di problemi marginali, che non toccano la società nel suo insieme, ma solo alcune persone che, obbligate a vivere nei luoghi di detenzione, non ne sono più parte. A esse, per il loro particolare stato, legato ai reati commessi, non sarebbero da assicurare condizioni di vita dignitose e realmente riabilitanti. Eppure non si tratta di persone “di serie B”, ma sovente di uomini e donne che, pur essendosi macchiati di crimini più o meno gravi, hanno vissuto sofferenze e difficoltà, e ora hanno bisogno di comprensione e dell’appoggio della società per potersi rialzare e reinserire nelle normali relazioni sociali. Non è ammissibile che migliaia di persone vivano quasi dimenticate per lunghi periodi, abbandonate a una sofferenza che potrebbe in parte essere alleviata e che non è certo il fine della detenzione.

La Chiesa e i singoli credenti sentono il dovere primario, frutto del comando del Signore, di vivere la carità, in particolare verso i più deboli. Ci sprona in tal senso la parola della Scrittura che, nella Lettera agli Ebrei, invita a perseverare nell’amore fraterno e nell’accoglienza (cf. Eb 13,1). Il testo continua esortando: «Ricordatevi dei carcerati» e precisa il modo in cui farlo: «come se foste loro compagni di carcere» (Eb 13,3a). Con questo breve accenno si delinea lo stile con cui ci si deve accostare a chi è in stato di reclusione: come se ci si trovasse nella sua stessa situazione, a condividere la sua medesima sorte. Fin qui si spinge la carità cristiana, che non si riduce a un aiuto materiale o all’espletazione di servizi, pure utili o necessari, ma è condivisione profonda della condizione dell’altro. Essa trova il suo modello nel Signore che, passando accanto all’uomo ferito dal peccato e sentendone compassione, come buon Samaritano si china su di lui e se ne prende cura. Chi visita i fratelli che si trovano in carcere deve essere mosso da questo stesso sentimento divino, cioè dalla compassione che il Signore ha avuto e ha per noi, dal sentire ciò che lui stesso prova, in modo da far percepire a colui che si visita la propria compagnia e la propria empatia. Quando raggiunge questa profondità, la solidarietà con l’altro diventa un balsamo che ne allevia il dolore, o un vino che ne guarisce le ferite. Essa è paragonabile al bicchiere di acqua offerto a chi ha sete, che non perderà la sua ricompensa (cf. Mt 10,42). La visita a chi è in carcere non risolve i suoi problemi, ma come un po’d’acqua allevia le fatiche e permette di procedere nel cammino.

La predilezione di Gesù per i poveri, la sua misericordia per chi ha peccato e la sua vicinanza agli ultimi, agli ammalati e agli emarginati, stanno al centro del messaggio evangelico e rappresentano una buona notizia per chi sperimenta più intensamente la debolezza e la privazione forzata della libertà. Da un certo punto di vista, chi vive in tale stato, se sperimenta l’afflizione o ha fatto una viva esperienza delle proprie colpe, è predisposto ad avvertire con maggiore intensità il bisogno del perdono e della misericordia di Dio, che del messaggio evangelico costituiscono il fulcro.

Mons. Mariano Crociata

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