Se Roma e Mosca dialogano, una buona notizia per il mondo

La visita del presidente della Russia Vladimir Putin a Papa Francesco rappresenta un avvenimento di grande importanza per il mondo, per la Chiesa e per l’Italia, visto che nel medesimo giorno dell’incontro con il Vescovo di Roma, il 25 novembre, il presidente russo incontra anche il capo dello stato Giorgio Napolitano, ed il giorno successivo il presidente del consiglio Enrico Letta per il vertice italo-russo a Trieste.

Non è la prima volta che un capo del Cremlino varca la soglia del Vaticano ma questa volta le attese e le speranze di frutti positivi sono maggiori che in passato per almeno tre ragioni.

Primo, la pace. Nonostante i focolai di violenza non abbiano ancora smesso di lacerare il popolo siriano, nel tentativo di ostacolare il processo diplomatico che si è innescato dopo il vertice di San Pietroburgo dello scorso settembre, la vicenda siriana ha mostrato una vicinanza di strategie, non ricercata quanto oggettiva, tra il Vaticano e Mosca sui temi del mantenimento della pace e della stabilizzazione delle aree di crisi del mondo. Il digiuno della pace del 7 settembre scorso proposto da Papa Francesco e la lettera indirizzata dal pontefice al presidente di turno del G20, Putin, hanno fatto registrare una casuale comunanza di vedute che può rivelarsi provvidenziale, a cominciare dal contrasto ai piani di guerra verso l’Iran, nell’aiutare il mondo a passare nel modo più incruento possibile ad un multipolarismo, non caotico o conflittuale ma pacifico e cooperativo, nel quale accanto al consolidato ruolo degli Stati Uniti vi trovano parte Paesi emergenti come la Cina e la Federazione russa e, si spera, un domani non troppo lontano un’Europa divenuta capace di esprimere una politica estera comune.

In secondo luogo le buone e promettenti relazioni tra la Santa Sede e il Cremlino possono sortire degli effetti positivi per quel cambio di paradigma della vita economica e sociale, oggi sbilanciato sull’idolatria del profitto e su un individualismo triste e decadente, per incentrarlo, su una chiave antropologica più rispettosa della dignità della persona umana. Questo vale per il mondo del lavoro, per una visione sociale che attraverso adeguate risorse da destinare allo stato sociale miri alla riduzione delle disuguaglianze, per un ruolo delle istituzioni pubbliche capaci di prevalere su certi poteri opachi della finanza internazionale, per orientare le scelte al fine esclusivo del bene comune. Nel solco tracciato dalla dottrina sociale della Chiesa, dall’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, si leva forte la voce di papa Francesco nella denuncia della terribile realtà del lavoro schiavo e per invocare un’economia dal volto e dallo scopo più umano. Analogamente, Putin e il gruppo dei sanpietroburghesi che hanno preso le redini della Russia dopo Eltsin, hanno saputo non solo risollevare l’economia russa dal baratro, ma riaffermare i valori di un popolo sull’avidità di profitto di operatori economici internazionali senza scrupoli.

Un comune sentire che riguarda anche i valori della famiglia, il rispetto delle diversità ed il rispetto della differenza naturale dei due generi.

In terzo luogo, anche se indirettamente, questa visita in Vaticano del presidente russo, in qualche modo ha delle ripercussioni positive sul dialogo ecumenico con la Chiesa russa ortodossa. Come ha sostenuto papa Francesco nell’intervista alla Civiltà Cattolica, la riforma della sinodalità «potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli Ortodossi. (…) Voglio proseguire la riflessione su come esercitare il primato petrino, già iniziata nel 2007 dalla Commissione Mista, e che ha portato alla firma del Documento di Ravenna. Bisogna continuare su questa strada». Oggi come non mai si sono create le condizioni perché il dialogo tra la Chiesa di Roma ed il Patriarcato di Mosca possa dare dei buoni e sorprendenti frutti di speranza nella direzione dell’unità e possa vedere le due chiese collaborare per la tutela delle minoranza cristiane presenti in Medio Oriente che sono esposte alla violenza ed ai soprusi del fondamentalismo religioso anche a causa delle innumerevoli atrocità commesse dall’Occidente negli ultimi vent’anni sulle popolazioni dell’Iraq e dell’Afghanistan ed al clima di destabilizzazione che si è creato.

Per il nostro Paese, infine, la visita del capo di stato russo, rappresenta una conferma delle eccellenti relazioni fra i due Paesi in campo culturale, scientifico, economico ed energetico e pone le basi per rafforzare la presenza dell’Italia e dell’Eni, in un ruolo da protagonista nell’enorme mercato russo dell’energia, e aumentare il volume delle nostre esportazioni nel paese più vasto del mondo. Il governo Letta saprà sicuramente adoperarsi per fare in modo che questa amicizia tra Italia e Russia sappia attrarre l’intera Europa in una collaborazione strategica con la Federazione russa, resa indispensabile per poter esercitare un ruolo di primo piano nei confronti dei nuovi colossi che si affacciano sulla scena mondiale.

Sarebbe un peccato non cogliere l’occasione della visita del presidente russo per riflettere su tutti questi nodi. È vero ci sono anche altri temi, talora problematici o singoli casi, che meritano di essere discussi nei modi e nelle occasioni più appropriate.

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