Due Ambrogini che fanno onore a Milano e all’Italia
Accoglienza, pace e diritti umani sono la cifra di due dei vincitori dell’Ambrogino d’oro. Della massima benemerenza civica milanese in questi anni si è parlato più per le polemiche e i veti incrociati tra le forze politiche, facendo passare sotto silenzio i meriti e la testimonianza di solidarietà – spesso pluriennale – di chi riceve il premio a Sant’Ambrogio. Ad esempio, anche se ancora poco noti, don Massimo Mapelli e Alganesh Fessaha sono due persone che hanno lasciato il segno nel mondo degli invisibili. E se proprio vogliamo cedere al gioco delle connotazioni politiche, sono le due scelte in più netta discontinuità con la linea della Milano del centrodestra, quella della durezza con i deboli.
Infatti il giovane sacerdote meratese, 41 anni, per anni ha collaborato con don Virginio Colmegna nella Casa della Carità, occupandosi soprattutto dell’accoglienza delle famiglie di rom sgomberate dal comune e dalle forze dell’ordine dai campi milanesi ai tempi della giunta Moratti. Non c’era sgombero in cui lui non fosse presente per cercare di riunire i nuclei separati, ma anche per proporre ai rom percorsi di legalità e scolarizzazione dei bambini. C’era anche quando era difficile spiegare a un alunno delle elementari perché una ruspa avesse spianato, insieme alla sua baracca abusiva, i suoi libri e i suoi quaderni scolastici espellendolo di fatto dalle scuole dove aveva faticosamente iniziato l’unico tentativo per aggrapparsi al’integrazione. Oggi don Mapelli è diventato responsabile della zona sesta per la Caritas diocesana, ma non ha cambiato genere. Ultimo erede di una bella tradizione dei cosiddetti pretacci milanesi, quelli di strada che vivono in mezzo al disagio per non limitarsi a fare prediche, don Massimo oggi vive in una comunità nelle campagne milanesi con minori non accompagnati e bambini rom. Sul futuro ha le idee chiare: spera che Milano entro il 2015 diventi la capitale dell’Expo e dell’accoglienza.
L’angelo dei rifugiati Alganesh Fessaha è un medico ayyurvedico di origine eritrea responsabile dell’ong Gandhi, una cittadina milanese e del mondo che da anni mette a rischio la propria vita per salvare i profughi provenienti dal Corno d’Africa a Lampedusa, in Africa e in Medio Oriente. “Gandhi” è anche il soprannome dato ad Alganesh da migliaia di uomini e donne, perlopiù giovani fuggiti dal regime dell’Asmara, che in 20 anni ha militarizzato il paese soffocando ogni anelito democratico, incarcerando gli oppositori, scacciando gli stranieri (ong e missionari) e obbligato un’intera generazione a vivere in divisa e ai lavori forzati a tempo indeterminato. Ecco perché, a fronte di una popolazione di circa 3,5 milioni di abitanti, dall’Eritrea fuggono 3000 persone ogni mese. Si dirigono verso l’Europa a ogni costo, come dimostrano i morti nel naufragio di Lampedusa.
Alganesh è diventata “Gandhi” sul campo, per l’impegno umanitario generoso e senza confini. Questa donna, esule a sua volta, non ha esitato infatti a mettere a rischio la propria vita in Libia come nel Sinai per liberare chi marcisce nelle galere egiziane o libiche o nei lager dimenticati dei trafficanti di esseri umani in Sudan ed Egitto, dedicandosi soprattutto a malati, donne e bambini. Senza smettere di denunciare ai media di tutto il pianeta tante tragedie ignorate.
Il suo impegno ha spinto, ed è una bella novità, un gruppo di giornalisti, inviati di diverse testate nazionali con sede o redazioni a Milano a unirsi per candidarla lo scorso 14 ottobre scrivendo una lettera di presentazione al presidente del consiglio comunale milanese Basilio Rizzo. Colleghi che in varie circostanze si sono occupati delle tragedie dell’immigrazione, del traffico di esseri umani, di guerre dimenticate e di Africa. Si tratta del sottoscritto, cronista di “Avvenire”, di Massimo Alberizzi del “Corriere della Sera”, Alberto Chiara e Luciano Scalettari di “Famiglia Cristiana”, Fabrizio Gatti dell’“Espresso” e Raffaele Masto di “Radio Popolare. Per tutti noi Laganesh è semplicemente Alga, una donna che si batte non solo per l’accoglienza, ma anche per la democrazia in un paese martoriato , ma ripudiando la violenza. L’Italia non ha rapporti chiari con le ex colonie, soprattutto quelle del Corno, che spesso utilizza come discariche di rifiuti tossici o mercati illegali (l’Eritrea è sotto embargo Onu) per la vendita di armamenti. Premiando Gandhi, Milano ha fatto una precisa scelta di campo.
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