Legge elettorale, dalla Consulta una lezione di buon senso
Sono state rese note le motivazioni della sentenza dello scorso 4 dicembre con la quale la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità del premio di maggioranza e delle liste bloccate della legge elettorale 270/2005, meglio nota come porcellum. Esse manifestano ad un tempo un segnale di grande vitalità del nostro sistema giuridico e costituzionale ed un profondo segnale di allarme per l’indolenza della politica nell’affrontare i nodi cruciali per il Paese.
Una domanda sorge subito spontanea: come è possibile che sia rimasta in vigore per sette anni, nei quali si sono svolte ben tre elezioni politiche nel 2006, 2008 e 2013, una legge elettorale che pressoché tutti i partiti dicevano di volere al più presto modificare? E che il superamento di tale legge non abbia visto coinvolta alcuna forza politica, ma sia dovuto esclusivamente alla volontà di rivolgersi alla magistratura di un gruppo di appena venticinque cittadini-elettori che ha messo in moto l’iter che alla fine ha portato al pronunciamento della Consulta? Va purtroppo preso atto che le modalità che hanno prodotto il superamento degli aspetti impresentabili del porcellum, non depongono certo a favore di un recupero di credibilità della politica. Anzi, sembrano avvalorare l’ipotesi più inquietante che il porcellum, alla stregua del suo più stretto progenitore, la famigerata legge Acerbo, fosse una legge liberticida, per sua stessa natura irreversibile per via politica, in quanto finiva per accontentare, al di là delle dichiarazioni pubbliche, tutti i capi dei partiti che avrebbero dovuto cambiarla, attribuendo loro la facoltà di nomina del parlamento.
Le motivazioni della sentenza che ha cancellato l’obbrobrio giuridico e democratico del porcellum, non fanno che evidenziare le enormi e trascurate responsabilità del mondo politico. In questi anni non erano in ballo dei cavilli giuridici, bensì la questione assolutamente fondamentale relativa al rispetto del principio di democrazia da parte della legge elettorale votata dal centro destra nel 2005. Su questo aspetto si è fondato il giudizio della Consulta che ha cancellato il premio di maggioranza e le liste bloccate poiché “contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto”.
Il superamento del porcellum era dunque una grande priorità poiché ledeva il diritto costituzionalmente affermato di ogni elettore a poter esprimere un voto personale, eguale, libero e diretto. Vista l’inerzia della politica sul tema della riforma elettorale appare rassicurante il fatto che la Corte Costituzionale, attentissima a non arrogarsi prerogative che spettano esclusivamente al parlamento in ordine al cambiamento della legge elettorale, abbia invece agito per il pieno ripristino di legittimità costituzionale della vigente legge elettorale, dimostrando che gli effetti delle sue decisioni ci consegnano comunque una legge elettorale utilizzabile nel deprecabile caso di elezioni senza l’approvazione di una nuova legge elettorale da parte del parlamento. Una legge sicuramente migliore della precedente, su base proporzionale ma con consistenti soglie di sbarramento, con la possibilità di apparentamenti preelettorali fra partiti che intendono stipulare delle alleanze di governo, con la novità della preferenza per la scelta dei candidati e senza più quell’ingombrante fardello del premio di maggioranza, la cui cancellazione ci permette di riavvicinarci all’Europa.
A tal proposito le motivazioni della sentenza della Consulta sul porcellum spiegano con disarmante semplicità ciò che molti settori dell’opinione pubblica faticano a riconoscere: il fatto che il premio di maggioranza ha prodotto solo una “una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”, che “ incentivando il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio, si porrebbe in contraddizione con l’esigenza di assicurare la governabilità, stante la possibilità che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o uno o più partiti che ne facevano parte ne escano”. L’effetto opposto a quanto voluto, che si è puntualmente verificato nella scorsa legislatura quando il centro destra poteva contare sulla più ampia maggioranza della storia repubblicana in entrambi i rami del parlamento, ma che dopo appena tre anni si squagliò per dissidi interni.
L’iniziativa adesso è di nuovo nelle mani del parlamento che dovrà far tesoro delle considerazioni espresse a motivazione di questa sentenza anche laddove invita a ponderare con ragionevolezza i meccanismi distorsivi del voto insiti in ciascun modello elettorale, nella ricerca del miglior equilibrio possibile tra rappresentanza e stabilità. E senza lasciarsi più ammaliare dalle tentazioni di scorciatoie incompatibili con il sistema di governo parlamentare, come quella evocata dal modello per l’elezione dei sindaci. Anche a Westminster, con l’uninominale maggioritario puro le alleanze di governo si fanno in parlamento e solo dopo aver conosciuto l’esito delle elezioni, e l’unico vincitore certo è il corpo elettorale che dà le carte e non le segreterie dei partiti.
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