FCA e dintorni, come trattenere le imprese

 Ci sono delle cose che si aspettano da tempo e rispetto alle quali ci si sente, per così dire, preparati ma che poi, quando realmente si verificano, lasciano comunque un senso di spaesamento. Può dirsi un po’ questa la sensazione di fronte alla scelta di Fiat Chrysler Automobiles, di trasferire la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra. Un trasferimento ventilato da tempo ma di fronte al quale, nel suo concreto dispiegarsi, si resta un po’ attoniti.

Certo, gli stabilimenti rimarranno al proprio posto, anche se naturalmente si tratterà di vedere quale sarà l’effettiva resa dei prodotti di lusso destinati all’area piemontese e, più in generale, al ruolo dell’Italia sullo scacchiere di Fca. In questa situazione, sorgono peraltro non pochi interrogativi, soprattutto legati all’opzione londinese, poiché essa pare preludere ad un implicito disimpegno dalla direzione centrale e dagli enti amministrativi torinesi. Non sembra infatti poi tanto remota la possibilità che dal momento in cui le più importanti questioni fiscali saranno, bene o male, trattate in Gran Bretagna, a catena finiranno per trasferirsi o per essere accentrate nella sede di Londra parecchie strutture direttive che, a vario titolo, risultano connesse al ramo tributario con settori cruciali quali la gestione creditizia, il bilancio o i controlli. In pratica vi è il rischio di una progressiva marginalizzazione di Torino dal punto di vista direzionale e forse anche dell’Italia, relegata in una posizione subordinata dello sterminato colosso automobilistico.

Inutile però recriminare troppo. E’ infatti ben chiaro che le multinazionali come Fca si muovono su scala mondiale cercando di ottimizzare i fattori produttivi e sotto questo profilo l’amministratore delegato della casa automobilistica, Sergio Marchionne è sempre stato estremamente netto ed esplicito. Attendersi logiche diverse, e quindi più legate al nostro territorio, da un manager come lui, abituato a muoversi da un continente e l’altro in un’ottica globale, non era davvero immaginabile. E lo stesso può dirsi per John Elkann. Egli ha parecchi legami con Torino ma per lui questa è, più che altro, la città di suo nonno e non il luogo ove è cresciuto. Ne deriva quindi un rapporto forse non trascurabile ma neppure così unico e determinante.

E allora? Dobbiamo dunque rassegnarci ad un’Italia sempre più periferica, dalla quale le principali aziende si allontanano? Certo che no, soltanto che, a questo punto, la vera questione è cosa fare per per rendere più attrattivo il nostro Paese e come indurre le imprese ad installarsi da noi. E in fondo la risposta non è neanche tanto difficile. Basterebbe fare infatti l’esatto opposto di ciò che si è fatto negli ultimi due decenni.

Da troppo tempo manca in Italia una politica industriale che stabilisca le grandi strategie produttive e gli orientamenti di lungo periodo per la ricerca e gli investimenti. Si tratta di tornare a valorizzare un ruolo pubblico, oggi pressoché assente, per promuovere l’iniziativa privata stabilendo priorità ed obiettivi che si vogliono conseguire, impostando un’agenda ricca di contenuti che vanno dall’automobile alla logistica, dal risparmio energetico all’aerospaziale. Il tutto perseguendo una politica che offra, alle piccole imprese come alle multinazionali, una coerente prospettiva di sviluppo adottando una serie di misure fiscali (ad esempio, riducendo e modificando l’Irap che penalizza – massimo autolesionismo – un intenso uso di forza lavoro), di semplificazione burocratica, di agevolazioni creditizie, di formazione permanente della mano d’opera. Il tutto, questa la vera contropartita da chiedere alle imprese, entro un quadro lavorativo basato su contratti stabili a tempo indeterminato.

Con questi ingredienti ecco che le aziende saranno indotte a venire da noi e quelle che già ci sono a rimanervi. Cose impossibili? No, cose che, pur tra tante difficoltà, avvengono normalmente in Paesi a noi vicini, come Francia o Germania, permettendo loro di ottenere buoni risultati. Al solito a casa nostra la differenza, in peggio, la fa la politica e la perenne instabilità governativa certo non aiuta. Anche per questo continuiamo a non capire il senso della recente crisi che ha portato alla defenestrazione di Enrico Letta.

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