In Italia troppe manifestazioni di intolleranza e violenza

Il reiterarsi delle manifestazioni di intolleranza e di violenza da parte di piccole frange di provocatori e teppisti nei confronti di alcune forze e soggetti sociali e politici ( in particolare il PD) non è cosa che possa essere presa sottogamba. Soprattutto non lo è nel momento in cui finisce per sporcare manifestazioni che dovrebbero simboleggiare l’unità nazionale, come è il caso del 25 aprile, che festeggia la vittoria della lotta di Resistenza, evento fondativo della nostra democrazia, ed il Primo maggio, festa per eccellenza di una Repubblica che sul lavoro trova il suo primo fondamento.
Invece, come ha rilevato in una sua pregnante “Amaca” Michele Serra, è invalsa la moda di inventarsi una sorta di “25 aprile” ( o “Primo maggio”) immaginario in cui la Resistenza diventa il pretesto per il dispiegarsi di tutta una serie di rivendicazioni settoriali che vengono senza vergogna e senza senso del ridicolo accostate alle lotte e alle sofferenze degli antifascisti e dei partigiani veri con una mancanza di rispetto che è pari soltanto al settarismo ed all’ignoranza di chi dice ( e scrive) certe cose.
Ma se la questione di chi va in piazza è ristretta a certi giovanotti e signorine che non hanno mai studiato né lavorato seriamente per un’ora sola in vita loro e che hanno la testa piena di quattro concezioni mal digerite che scambiano per alta scienza, il problema è diverso per certuni altri che invece la cultura ce l’hanno ma la usano assai male, e che in piazza magari non ci vanno ma contribuiscono al discredito delle istituzioni democratiche con quello che scrivono.
Si pensi ad esempio a “Micromega”, la rivista del politicante fallito Paolo Flores d’Arcais che ama presentarsi come “filosofo” mentre in realtà non è mai andato oltre il grado di ricercatore in un Ateneo romano. Là dentro – come del resto quotidianamente sul “Fatto” – si possono trovare le radici dirette di quelli che poi diventano gli insulti e le violenze di piazza. Infatti, quando si legge Angelo d’ Orsi affermare che il Governo Renzi “sta portando il più pesante attacco mai tentato alla Costituzione e allo Stato sociale” o che Domenico Gallo mette in dubbio la lealtà di Matteo Renzi alla Costituzione su cui ha giurato (accusandolo implicitamente – ma neanche tanto – di spergiuro) viene da ridere. Ma il riso cessa nel momento in cui si riflette sul fatto che d’Orsi è un docente universitario, uno storico, e Gallo addirittura un alto magistrato: che cosa possono imparare i giovani discenti da un docente così fazioso? E come si può essere sicuri della giustizia amministrata da personaggi che parlano da settari?
Altrettanto basiti si rimane quando un sociologo di grandi meriti come Marco Revelli, altro docente universitario, condanna le cariche della Polizia contro gli anarco–insurrezionalisti che hanno cercato di espellere il PD dal corteo del Primo maggio senza considerare gli atti di violenza a cui costoro si erano abbandonati in precedenza.
Perché un punto deve essere chiaro: se vicende terribili come quella della “Diaz” a Genova nel 2001 e i casi Aldrovandi, Cucchi, Uva ed altri avrebbero richiesto una diversa gestione da parte degli alti gradi delle forze dell’ordine e delle istituzioni (ivi compresa la definitiva espulsione dalle forze di polizia dei colpevoli riconosciuti tali dai Tribunali) , è altrettanto vero che i violenti nei cortei ci sono, e vanno contenuti con i metodi che si rendono necessari. Né è ammissibile che esistano zone come la Val di Susa dove un pugno di violenti tiene assediata un’intera popolazione per opporsi a decisioni già assunte dagli organi istituzionali democratici.
Ma per questo bisogna che chi parla e scrive lo faccia in modo responsabile: e questo è tanto più importante quando a farlo non è un cantante ormai in discesa di carriera come Piero Pelù che inveisce contro Renzi “boy–scout di Gelli” (in realtà c’è l’ha con Renzi perché da ex Sindaco di Firenze gli ha tagliato una consulenza da 72.000 euro) ma persone che nel “sistema” sono ben incistate e non riflettono sul fatto che le sciocchezze e le esagerazioni che dicono e scrivono diventano poi le motivazioni per atti violenti.

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