L’alleanza per la solidarietà
La rilettura del Messaggio alla città che, nella tradizione dei Vescovi di Milano, il card. Dionigi Tettamanzi ha anche questa volta rivolto ad autorità e cittadini in occasione della solennità di Sant’Ambrogio dimostra in primo luogo l’estrema linearità del pensiero e dell’azione dell’Arcivescovo, che trova il suo filo conduttore nella prosecuzione di un discorso apertosi fin dal suo insediamento alla guida della Chiesa ambrosiana – quando disse che “le ragioni dei più deboli non debbono essere ragioni deboli”- e che si è rafforzato ed intensificato negli ultimi anni a seguito dell’inasprirsi di una crisi economica e sociale che viene da lontano e che genera un disagio insieme materiale e spirituale.
Ovviamente un discorso di questo tipo, che nasce da una preoccupazione schiettamente ecclesiale come è ovvio per chi ricopre l’ufficio di pastore e di maestro della comunità che gli è stata affidata, ha anche un risvolto politico, visto che la politica è per l’appunto l’arte di costruire un ordine nel disordine delle passioni e degli interessi umani, e anche un appello che nasce da istanze di carattere religioso trova poi la sua traduzione nella costruzione di un ordine sociale diverso. Come del resto richiede l’insegnamento sociale della Chiesa, e non è un caso, peraltro, che il Cardinale ancori i suoi riferimenti dottrinali all’ultima enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, alla quale ha dedicato un penetrante studio recentemente pubblicato per i tipi di Rizzoli.
Il problema che il Cardinale laicamente si pone è quello di “rendere grande Milano”, puntando non solo sui grandi numeri degli affari, peraltro essi stessi in grave crisi, ma sulla capacità di dare forza e sostanza alla solidarietà come atto politico, definendola, sulla scia del Pontefice, come quella virtù che “persegue il bene non solo individuale ma anche e specificamente comune, è del tutto inscindibile dalla giustizia e include, pertanto, la presenza attiva e responsabile delle stesse Istituzioni ben oltre il pur indispensabile servizio del volontariato”.
Tettamanzi non ignora, ed anzi sottolinea, i numerosi esempi di solidarietà disinteressata presenti nella realtà milanese , ma ricorda che essi vanno intensificati e, per l’appunto, inseriti in un contesto di carattere politico – istituzionale che faccia sì che sia la città in quanto tale, e non singole persone, ad essere autenticamente solidale con tutti i suoi abitanti. Si inserisce qui il riferimento alla recente vicenda degli sgomberi dei rom da alcuni campi della periferia milanese, ed assai pertinentemente il Cardinale osserva che “la risposta della Città e delle Istituzioni alla presenza dei rom non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive”, ed aggiunge: “Non possiamo, per il bene di tutta la Città, assumerci la responsabilità di distruggere ogni volta la tela del dialogo e dell’accoglienza nella legalità che pazientemente alcuni vogliono tessere”.
Da qui, l’immagine alta di “una vera e propria “alleanza” intesa come incontro, dialogo, scambio d’ informazioni, condivisione di interventi, collaborazione corresponsabile tra le Istituzioni pubbliche e le forze vive della società civile”, indicando quali campi privilegiati di tale alleanza la scuola, il lavoro, la salute, la lotta alle varie forme di povertà e di emarginazione sociale.
Qui, riprendendo i temi della sua famosa omelia della notte di Natale 2008, il Cardinale rilancia e collega al tema della solidarietà quello della sobrietà, intesa come appello al mutamento degli stili di vita, e quindi anche alla condivisione e alla redistribuzione della ricchezza, mettendo al centro dell’agire economico la persona umana nelle sue esigenze più vere, oltre gli sprechi ed il superfluo.
Da qui anche l’attenzione al significato di un grande evento come Expo 2015 – che non a caso avrà al centro la questione del nutrimento sufficiente per tutti gli abitanti della Terra- e l’appello alla trasparenza della gestione di tali grandi opere.
Da qui anche, con un approccio veramente evangelico, il riferimento alle recenti polemiche sulla presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche,ricordando che esso è “simbolo cristiano ma anche simbolo profondamente umano”, che richiama tutti “a interrogarci sul significato che hanno il soffrire e il morire”. E tuttavia: “Non limitiamoci a considerare il crocifisso come segno di un’identità. Dobbiamo passare dal simbolo alla realtà, alla realtà di Gesù Cristo morto e risorto e veniente, persona viva, concreta, incontrabile, sperimentabile. Conserviamo questo simbolo,ma soprattutto viviamolo con umile, forte e gioiosa coerenza”.
Abbiamo già visto come un messaggio di questo tipo abbia di per sé un inevitabile risvolto politico, sebbene in tutta evidenza il Cardinale non detti qui (e non potrebbe né vorrebbe nemmeno farlo) un programma per l’azione. D’altro canto, la questione dello statuto pubblico della fede, delle forme che la presenza dei credenti, delle religioni, delle Chiese nella storia assume anche in un contesto segnato dalla secolarizzazione e dalla distinzione del ruolo proprio dello Stato e della Chiesa è ancora di là dall’essere risolta. Quel che è certo è che nessuno può revocare in dubbio la piena libertà dei soggetti religiosi di affermare liberamente le proprie verità ed i propri giudizi sulla storia degli uomini, come del resto nessuno può riproporre condizionamenti automatici del potere ecclesiastico su quello politico. In sostanza,liberi i leader religiosi di esprimere le proprie posizioni, liberi i leader politici di agire come meglio credono opportuno per il bene comune, in un contesto di legalità democratica.
Vien fatto di dire che solo un potere politico assai poco sicuro di sé e delle proprie ragioni, ovvero in perenne cattiva coscienza, ma nello stesso tempo arrogante e abituato all’impunità, può reagire ad affermazioni come quelle sopra delineate nel modo isterico e sopra le righe cui abbiamo assistito in questi giorni, specie ad opera della Lega Nord. Invece di entrare nel merito dei problemi delineati dal Cardinale, magari per dissentire più o meno nettamente, si è preferita la strada dei paragoni impropri ed insultanti, della banalizzazione degli argomenti altrui, delle insinuazioni sulla “rappresentatività” del Cardinale. Più sottilmente, Giuliano Ferrara ha tentato la strada di un presunto “strappo” fra il Cardinale – ed il suo predecessore- dalla grande Tradizione ecclesiale e sociale ambrosiana, scambiando tale Tradizione con il museo delle cere ovvero con le antiche ambizioni frustrate di qualche suo esegeta caro al direttore del “Foglio”.
Non sappiamo se, come ha scritto fra le righe Gad Lerner e ha ribadito con maggiore chiarezza Alberto Melloni, l’obiettivo reale della Lega sia quello di fare in modo che al card. Tettamanzi succeda sulla Cattedra ambrosiana un presule più sensibile alle ragioni identitarie e xenofobe dei lumbard. In ogni caso occorre dire che la vicenda di questi giorni è un’altra occasione perduta, in cui la politica politicante, quella finalizzata unicamente ad una raccolta spregiudicata del consenso svincolata dalla concretezza dei problemi, rifiuta una volta di più il confronto serio sui problemi -molti- dell’area metropolitana milanese (e Dio sa quanto ce ne sarebbe bisogno) e preferisce rifugiarsi nell’invettiva e nella demonizzazione.
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