La Costituzione sta cambiando, ma chi se ne accorge?
Gli elettori italiani – complice la scheda elettorale che riporta il nome del candidato a ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio – sono convinti di votare direttamente per il “primo ministro” o “premier” oltre che per il leader della coalizione. Il fatto che poi spetti, secondo Costituzione, al Presidente della Repubblica affidare l’incarico e alle Camere votare la fiducia, sembra un elemento secondario, quasi trascurabile.
Sempre gli stessi elettori – votando su schede che non consentono la scelta dei candidati deputati o senatori attraverso la “preferenza”, ma limitandosi a esprimere un voto al partito, i cui organi dirigenti predispongono liste “bloccate” – non si accorgono di contribuire a dare vita a un Parlamento di fatto “depotenziato”, perché non espressione di libere scelte, ma di “rappresentanti popolari” scelti dalle oligarchie di partito.
Quanto sta succedendo in Italia è una modificazione della “costituzione materiale” che si fa sberleffi della “costituzione formale” e che nella coscienza civica del Paese sta provocando inevitabilmente una estraneità crescente nella già preoccupante distanza fra istituzioni e Paese reale.
Noi riteniamo tutto questo molto preoccupante.
Intendiamoci, la distinzione fra Costituzione formale e Costituzione materiale è antica. Volendo semplificare,la distinzione fra i due termini è la distinzione fra il testo scritto della Costituzione, la definizione dei principi fondamentali, dei poteri e degli organi che il costituente inserisce nell’architettura istituzionale che intende edificare, e l’applicazione concreta che nasce dalla prassi politica e dai comportamenti diffusi dei cittadini, i quali evidentemente possono innovare e correggere non poco il testo scritto pur non stravolgendolo nella sua dimensione formale.
Uno dei casi più spettacolosi di divorzio pressoché indolore fra Costituzione formale e materiale fu quello dello Statuto Albertino, la legge fondamentale del Regno di Sardegna e poi di quello d’Italia, che non venne mai abrogato ma che di fatto, dal 1925 in poi, venne sostanzialmente congelato e svuotato dalle leggi emanate dal Governo Mussolini per definire l’impalcatura della dittatura fascista, come quella che costituzionalizzò un organo di partito quale era il Gran Consiglio del Fascismo e quella che istituì la figura del Primo Ministro. Da notare che la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 fu il frutto di una convergenza fra la Costituzione materiale, con il voto del Gran Consiglio a favore dell’ordine del giorno Grandi, e quella formale, con il re che revocava a Mussolini il mandato ministeriale che egli stesso gli aveva affidato vent’anni prima.
Fu simile alla nostra anche la deriva della Costituzione tedesca della cosiddetta Repubblica di Weimar, che il nazismo non abrogò mai formalmente, ma semplicemente accantonò con il metodo delle leggi speciali votate dal Reichstag prima dopo le elezioni del marzo 1933 e poi l’anno successivo a seguito della morte del Presidente Hindenburg, affidando ad Adolf Hitler, con il titolo di Führer e Cancelliere del Reich, la pienezza del potere esecutivo, legislativo ed in ultima analisi anche giudiziario.
Ammaestrati da tali tragedie, i costituenti italiani del 1946 optarono per una forma di Costituzione “rigida”, nel senso di dettare norme particolarmente precise e severe per le modifiche in sede parlamentare della Carta, prevedendo in casi particolarmente gravi la possibilità di un referendum “confermativo” per permettere all’elettorato di esprimersi in caso di modifiche istituzionali approvate con maggioranze parlamentari ristrette. Proprio in quei giorni il massimo filosofo del diritto italiano del XX secolo, Giuseppe Capograssi, rilevava in un suo scritto che “una costituzione non deve essere una antologia di tutti i più illustri luoghi comuni che la letteratura sull’argomento presenta. Una costituzione è qualche cosa di essenzialmente pratico, e deve esprimere una persuasione comune”: ma proprio l’assenza di tale persuasione, di tale sostrato comune preoccupava l’illustre giurista, e non solo per i gravi contrasti politici che segnavano l’Italia postbellica, ma per un vuoto etico più grave. “C’è questa fede nel pensiero, nella ragione, nella libertà ? C’è questa comune esigenza di assicurare che la lotta politica si svolga in termini di libertà, di giustizia, di ordine, cioè di umanità? (…) C’è questo senso di rispetto della vita in tutte le sue forme concrete, del libero muoversi e realizzarsi della varia, incredibilmente varia, natura umana?”.
In fondo, il divorzio constatato fra Costituzione formale e materiale alla base della crisi esiziale della cosiddetta Prima Repubblica, che si esprimeva in sostanza con la crescita abnorme del potere extracostituzionale dei partiti politici (Berlinguer disse che i partiti avevano occupato lo Stato), nasceva per l’appunto dalla carenza nella società civile del sostrato etico comune cui faceva riferimento Capograssi, nel senso dell’etica pubblica, civica (altra cosa era la morale privata e familiare, per non dire familistica, allora corrente), cui facevano supplenza la cultura politica e l’organizzazione dei partiti. Solo che tale supplenza alla fine divenne eccessiva ed autoreferenziale, finché, venendo meno con il crollo delle dittature comuniste dei Paesi orientali l’autentica norma fondamentale che configurava il sistema politico italiano,tale sistema crollò rapidamente alla prima causa scatenante, nella fattispecie quella giudiziaria.
Il passaggio al sistema elettorale maggioritario e alla pratica dell’elezione diretta dei capi degli Enti locali, prima i Sindaci ed i Presidenti delle Province e poi quelli delle Regioni, in assenza di un chiaro indirizzo di modifica della Costituzione che tenesse conto dei cambiamenti avvenuti soprattutto per dare specifiche garanzie alle minoranze, ha di fatto introdotto un nuovo elemento di divorzio fra Costituzione formale e materiale, con l’emergere a tutti i livelli, e soprattutto a livello nazionale, di tendenze cesaristiche nemmeno troppo dissimulate che peraltro non sono inquadrabili, vista l’inusitata quantità di potere politico, economico ed informativo che si accentra nelle mani di Silvio Berlusconi, né nel tradizionale “modello Westminster” di un premier legato ad una maggioranza parlamentare, né nel modello del presidenzialismo statunitense che prevede una limitazione nel tempo e una serie di pesi e contrappesi a livello locale e centrale alla forte influenza del potere del Presidente.
Il recupero di un forte sentimento costituzionale non può prescindere da un serio ruolo pedagogico della politica, che tuttavia in questi anni o è mancato o si è espresso in una pedagogia diseducativa, che ha costruito un universo valoriale alla rovescia in cui ci si vanta di ciò di cui ci si dovrebbe vergognare, e il servilismo ed il culto del Capo sostituiscono il sentimento civico. Il problema è che la discrasia fra Costituzione formale e Costituzione materiale non può protrarsi a lungo, e se quanto è scritto nel testo della Carta non torna (o non comincia) ad essere, per l’appunto, sentimento civico condiviso, verrà tempo in cui si formalizzeranno comportamenti materiali già in atto che potrebbero portarci da una democrazia parlamentare quasi svuotata del suo senso in terre costituzionalmente e politicamente incognite, e pericolose.
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