Giovanni Paolo II: dieci anni dopo
Dieci anni fa, esattamente il 2 aprile 2005, moriva Giovanni Paolo II, uno dei pontefici che, senza dubbio, hanno più influenzato la vita della Chiesa e le vicende della nostra società. Uomo coraggioso, segnato dalla sofferenza fisica sia legata ai postumi dell’attentato di cui fu oggetto nel maggio 1981 sia all’incalzare della malattia che rese sempre più faticoso il suo quotidiano operare. Un’esistenza, la sua, che con la perdita della madre, quando era appena bambino, era già iniziata decisamente in salita. Vennero poi gli anni dell’esperienza lavorativa in fabbrica, che contribuirono a rendere in lui più acuta la sensibilità verso i problemi del lavoro accompagnata dall’idea che qualsiasi sistema produttivo, per essere realmente al servizio del bene comune, debba fondarsi sulla centralità dell’uomo. Un valore troppo spesso negato tanto dal neo liberismo quanto dal vecchio socialismo reale.
E Giovanni Paolo II non fece mai alcuno sconto ad entrambi. Nella Polonia dominata dal partito comunista si pose, in ogni occasione, come la voce della coscienza cattolica in difesa della dignità della persona. Divenne Papa nel 1978, anno dei due conclavi, dopo l’improvvisa e prematura scomparsa del suo predecessore, Albino Luciani. Per la prima volta dopo cinque secoli il successore di Pietro non sarebbe stato italiano, segno di quella universalità della Chiesa intimamente connaturata al suo essere cattolica. Giovanni Paolo si presentò con una frase “Non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo” che, in poche parole, condensa il senso stesso del suo lungo pontificato.
Un’opera incessante a favore della pace – memorabile fu l’incontro di Assisi del 1986 – e dell’ecumenismo. E poi un intenso cammino in ogni angolo del globo, per portare ovunque il Vangelo e Gesù Cristo. Questa infatti è l’unica ed inderogabile missione della Chiesa, senza di che si trasformerebbe in una gigantesca organizzazione benefica a sfondo morale. E per Karol Wojtyla parlare di Gesù Cristo ha anche significato, ovunque si trovasse, affrontare i grandi temi dell’umanità di oggi e che proprio alla luce della fede prendono sostanza. Ecco allora ergersi a difesa dell’inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale; a tutela della sacralità della matrimonio, su cui si fonda la famiglia, culla dell’amore più profondo; a sostegno della libertà di coscienza, valore primario da cui si irradiano tutte le altre libertà. Il tutto proponendo Gesù Cristo come bussola dell’esistenza dell’uomo, unica via, vita e verità, di fronte a troppi falsi profeti.
Un messaggio forte, rispetto al quale non indietreggiò mai. Eletto in anni difficili per la Chiesa, quasi considerata da buona parte del mondo laico, come retaggio del passato non più in sintonia con la società contemporanea, Wojtyla rovesciò questi schemi che sembravano ineluttabili persino a un certo cattolicesimo, non di rado in soggezione rispetto alla preponderante matrice progressista. E nasce proprio da questa rottura di ogni luogo comune l’idea delle Giornate mondiali della gioventù, per mostrare come la Chiesa sa camminare con le nuove generazioni.
Con Giovanni Paolo II la Chiesa è tornata al centro dell’umanità, ponendo più forti che mai gli interrogativi sul destino dell’uomo e sulle domande ultime riguardo alla sua esistenza. Fede e ragione, per troppo tempo falsamente contrapposte, sono state riportate nella loro più autentica complementarità, l’una insieme all’altra, entrambe a cooperare per il bene dell’uomo. Perchè, come mostrano le tante storture etiche ed antropologiche della società odierna, è proprio quando si indebolisce la fede che vien meno anche la ragione.
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