Uno Stato unitario, privo di coesione sociale
L’avvicendarsi, in questi ultimi mesi, di ricorrenze “tonde” di eventi storici, lo scorso maggio, ha visto anche il ricordo del centenario dell’ingresso dell’ Italia nella prima guerra mondiale, la cui data si fa convenzionalmente risalire al 24 maggio 1915. Alcuni commentatori ritengono, ancora oggi, che quel conflitto diede un contributo fondamentale al consolidamento dell’ identità dell’ allora recente stato unitario: cioè la partecipazione alla guerra avrebbe favorito la presa di coscienza della nuova entità nazionale; in sintesi, le diverse “popolazioni” italiane avrebbero trovato coesione ed orgoglio “patriottico” nell’ evento bellico e nel suo esito vittorioso. A sostegno di questa tesi c’è anche una rilettura, “di parte” e un po’ forzata, del film “La grande guerra” di Monicelli (1959), dove il rapporto, inizialmente incompatibile, tra il lombardo Gassman e il romano Sordi, trova il superamento delle differenze proprio nella comune partecipazione al conflitto, e la loro fucilazione è vista come una sorta di riscatto spirituale dell’intera nazione.
Invece l’evolversi della storia ci ha fatto capire che l’ Italia uscì da quei dolorosi anni più povera, massacrata e divisa per classi, regioni, ideologie, ceti politici ed altro ancora,… cause che (insieme ad altre) portarono al ventennio di dittatura fascista.
C’è, quindi, da chiedersi se, e quando, è avvenuta la definitiva presa di coscienza che l’ Italia fosse diventata un vero e proprio stato unitario. La domanda non è banale, perché il processo di unificazione del XIX secolo (il Risorgimento) non fu un’esperienza popolare, ma un’operazione voluta soprattutto da alcuni ceti privilegiati.
A questo proposito abbiamo visto che la prima guerra mondiale non servì allo scopo; nemmeno vi servì il fascismo (anni in cui l’unitarietà era di facciata e frutto di paure). Il secondo conflitto, con tutti i danni che procurò, vide l’Italia, anche fisicamente, divisa in due ed occupata da truppe straniere. Possiamo perciò dire che, probabilmente, l’unificazione nazionale “effettiva” si realizzò in conseguenza delle grandi migrazioni interne degli anni della ricostruzione del secondo dopoguerra, prima, e del boom economico dopo. Qui non si vuole esprimere una valutazione sulla bontà di quel fenomeno, ma solo presumere che, in conseguenza degli scambi (forzati) di esperienze, tradizioni, conoscenze, frequentazioni,… si crearono le condizioni per le quali ora ci sente tutti (abbastanza) Italiani e, nel nord, non si leggono più i cartelli: “Non si affitta ai meridionali”.
Legati a quegli anni ci sono stati fenomeni collaterali, come la diffusione della radio e della televisione, ricevute identiche in tutta la nazione; la motorizzazione a due e a quattro ruote; le grandi autostrade;… la possibilità di fruire di beni di consumo comuni a tutte le zone del paese, dall’elettrodomestico “bianco” all’abito confezionato Facis, ad esempio,… tutte circostanze che hanno contribuito all’unità. E, poi, ci sono state le “generazioni mescolate” e il ritorno, ai luoghi di origine, di lavoratori/pensionati “migrati”, e così via,…
Quindi possiamo forse dire che ormai siamo uno stato effettivamente unito, lo conferma anche la versione “Salvini” della Lega, che ha finalmente accantonato i proclami di presunta secessione. Ma l’ unificazione “effettiva” è avvenuta più in conseguenza di un processo economico, piuttosto che per un vero proprio progetto politico e culturale. La diversa velocità di crescita tra nord e sud, il differente controllo del territorio da parte dell’ amministrazione pubblica, le cifre della disoccupazione,…. denunciano perciò il limite di questo processo, che ha prodotto, infine, l’unità sostanziale dell’ Italia, ma che, in assenza di un’adeguata guida politica, non ha portato ad una sua reale coesione sociale.
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