Tribunale Permanente dei Popoli, una sentenza storica
A Messina sono rimasti per giorni senz’acqua, ma invece di pensare a seri interventi di riqualificazione del sistema idrico, si ri-parla di costruire il ponte sullo Stretto. A Genova ogni volta che piove allaga tutto e gli abitanti spalano fango per giorni, ma invece di effettuare interventi per decongestionare le vie d’acqua ostruite dal cemento, si finanzia il terzo valico ferroviario. A Torino, una delle città più indebitate d’Italia a causa delle spese astronomiche per le Olimpiadi Invernali, si fatica a trovare finanziamenti per il passante ferroviario, per la seconda linea della metropolitana e per la prosecuzione di quella già esistente, ma intanto si insiste sulla costosissima linea Tav verso Lione. Eccetera, l’elenco di Grandi Opere ipotizzate o in cantiere è lungo, ma mai quanto quello delle opere che sarebbero necessarie, ma per le quali i finanziamenti non si trovano mai. Sorge spontanea la domanda: quali criteri guidano le scelte delle priorità dei territori e del Paese nel suo complesso? Le indicazioni, necessità, richieste delle comunità locali vengono tenute in considerazione o vengono marginalizzate a favore di un sistema dove pochi “decisori” non meglio identificati impongono opere di dubbia utilità e costi esorbitanti, sostenendole con considerazioni aprioristiche che non lasciano spazio al confronto?
L’impressione è che le reali esigenze vengano costantemente accantonate per privilegiare opere faraoniche in grado di smuovere capitali enormi a favore dei contraenti degli appalti, millantando benefici per l’occupazione e per il sistema-Paese che spesso si rivelano illusori dopo la realizzazione, mentre molti di questi mega-cantieri non vengono nemmeno portati a termine, lasciando solo debiti a carico dei cittadini.
La più discussa di queste opere è senza dubbio il Tav (Treno ad Alta Velocità) Torino-Lyon, attorno alla quale ormai da decenni si è levata una protesta popolare che ha ampiamente travalicato i confini della Valsusa, il territorio direttamente interessato dai cantieri. Negli ultimi mesi, la protesta è arrivata a livello sovranazionale con il coinvolgimento del TPP (Tribunale Permanente dei Popoli), prestigiosa associazione internazionale di promozione dei diritti umani interpellata per un giudizio dal Controsservatorio per la Valsusa, organo di coordinamento del variegato mondo NoTav.
Dopo una fase preliminare, ospitata qualche mese fa alla Cavallerizza Reale di Torino, pochi giorni fa si è tenuta la sessione conclusiva, quattro giorni aperti al pubblico con verdetto emesso domenica 8 novembre. Secondo il Controsservatorio Valsusa si è trattato di “una sentenza storica di condanna del metodo seguito per la definizione del Tav in Val Susa e dell’intero sistema che presiede, in Italia e in Europa, alle grandi opere”. Il verdetto fa esplicito riferimento ai principi della “Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale”, nota anche come Convenzione di Aarhus, e afferma che i casi sottoposti al TPP (oltre al Tav in Val di Susa, l’aeroporto di Notre Dame des Landes, la miniera a cielo aperto di Rosia Montana e vari progetti in Francia, Spagna e Paesi Baschi, a Stoccarda, Venezia, Firenze, Messina, Niscemi, in Basilicata e nelle regioni d’Italia interessate da progetti di trivellazione) “documentano un modello generalizzato di non conformità operativa a questi principi, da parte di un gran numero di governi e di enti pubblici oltre che dei committenti esecutori di grandi opere”. Un giudizio che accoglie in toto l’impianto accusatorio, sostenuto nella requisitoria finale da Livio Pepino, ex membro del Csm e già consigliere di Cassazione, che ha sostenuto le ragioni NoTav con un lungo excursus critico nel metodo e nel merito dell’opera. Nel verdetto infatti si evidenzia che “in Val Susa sono stati violati i diritti fondamentali dei cittadini all’informazione e alla partecipazione, sono state disattese numerose convenzioni internazionali, c’è stata un’impropria criminalizzazione del movimento di opposizione e una inammissibile militarizzazione del territorio”.
Una responsabilità imputata non solo ai promotori dell’opera e alle imprese coinvolte, ma anche ai Governi italiani degli ultimi due decenni e all’UE, che ne ha accolto le indicazioni senza effettuare accertamenti e senza tenere in conto le documentate opposizioni della comunità locale. Oltre alla condanna per le suddette istituzioni, il TPP ha emanato una serie di raccomandazioni all’indirizzo dei governi coinvolti (per il Tav, quelli italiano e francese) e alla stessa UE, quali quella di aprire “consultazioni serie delle popolazioni interessate, e in particolare degli abitanti della Val di Susa, per garantire loro la possibilità di esprimersi sulla pertinenza e la opportunità del progetto e far valere i loro diritti alla salute, all’ambiente e alla protezione dei loro contesti di vita”, prendendo in esame tutte le alternative possibili, “senza scartare l’opzione zero” e, nel frattempo, “sospendendo, in attesa dei risultati di questa consultazione popolare, seria e completa, la realizzazione dell’opera”, con la contestuale richiesta di “sospendere la occupazione militare della zona”. Un’occupazione che i giurati internazionali hanno potuto sperimentare sulla propria pelle, come ha testimoniato il presidente della corte Philippe Texier (Magistrato onorario della Corte suprema di Cassazione francese) , che ha rilevato come “Nella loro visita alla zona, i membri di una delegazione del TPP sono stati trattati come potenziali delinquenti”.
Una sentenza dunque che, fermo restando il valore puramente consultivo e non giuridico, emette un giudizio morale estremamente critico nei confronto del Tav Torino-Lyon e delle altre grandi opere prese in esame, ponendo sotto accusa un sistema che accentra sempre più il potere decisionale a vantaggio di pochi soggetti che impongono progetti che poco hanno a che fare con il bene comune, trascurando opere più necessarie e urgenti ed esautorando di fatto la volontà popolare e le richieste e i bisogni delle comunità locali.
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