La sfida europeista di Renzi
Forse, all’indomani dell’approvazione definitiva della riforma costituzionale, è il momento meno adatto per valutare l’azione complessiva di questo governo a poco meno di due anni dal suo insediamento. È un errore la politicizzazione del referendum confermativo che si terrà ad ottobre. Il governo lo vuole trasformare in un plebiscito ma sottovaluta le insidie derivanti dalla peculiarità del referendum confermativo, costituita dalla mancanza del quorum. Un sistema che di fatto favorisce coloro che si oppongono. La posta in gioco in tale referendum esigerebbe invece un clima più sereno e trasversale. Infatti, quando la parola passa ai cittadini si superano le mediazioni dei partiti. Ciascun cittadino avrà di fronte una valutazione non semplice: avallare una riforma attesa da decenni quale è il superamento del bicameralismo perfetto, oppure scongiurare il rischio che una sola camera, eletta con un sistema ipermaggioritario, previsto dall’italicum, possa rappresentare un rischio per la democrazia nel caso in cui si dovesse mai profilare in futuro la possibilità di vittoria di forze autoritarie.
Va anche riconosciuto che, allo stato attuale, i rischi maggiori per la democrazia sono costituiti da altri tipi di fattori. Il mondo occidentale è fortemente condizionato, per non dire governato, da grandi poteri finanziari ed economici, che non agiscono allo scoperto ed in modo trasparente. È questa la ragione per cui il progetto di integrazione europea sembra aver abbandonato gli ideali delle origini. È questa la causa principale di molti dei conflitti che si sono verificati ininterrottamente nell’ultimo quarto di secolo (il 16 gennaio è ricorso il 25° anniversario della prima guerra del Golfo) in Medio Oriente ed in Europa, che hanno reso peggiore e più instabile il quadro internazionale.
Di questi rischi l’apparato politico-istituzionale del nostro Paese appare consapevole: il governo, certo, ma anche il parlamento, la presidenza della Repubblica, i vertici delle forze armate e dei servizi di intelligence. Nel complesso, sotto questo profilo, le istituzioni del Paese, e le persone che le rappresentano, appaiono migliori, ed in alcuni casi molto migliori, di certa opinione pubblica lautamente foraggiata per sostenere progetti palesemente in contrasto con i valori della giustizia sociale e della pace.
Per questo ogni volta che escono dei dati sul lavoro (da ultimo quelli dell’Inps sulle nuove assunzioni e sulla diffusione dei voucher) appare un esercizio sterile quello di chiedersi se il jobs act stia funzionando oppure no. Il governo ha fatto fin qui quanto ha potuto, ma dimostra di essere consapevole che il vero nodo per affrontare efficacemente l’emergenza lavoro è quello del superamento dell’austerità. Una priorità che in ogni occasione le Acli, in questi ultimi due anni, hanno indicato, e talvolta anche direttamente a singoli membri del governo, senza paura di andare controcorrente, perché quando una organizzazione ha un progetto ed una linea politica in cui crede, non si fa influenzare dal chiacchiericcio quotidiano, ma si attrezza ad andare incontro ai tempi propizi per le proprie proposte. Per questo oggi avvertiamo che l’iniziativa che il governo italiano ha intrapreso in Europa per superare l’austerità è espressione di un genuino europeismo ed è la condizione per imboccare la via della ripresa economica, dello sviluppo sociale, del proseguimento del cammino di integrazione europea. Al capogruppo dei Popolari europei Weber va ricordato che i populismi sono il prodotto delle politiche di austerità le quali costituiscono una seria minaccia per il futuro dell’Europa. La via indicata dall’Italia pone questioni di interesse generale e non solo nazionale, interpreta una diffusa richiesta di una svolta nelle politiche economiche e monetarie europee da parte dei ceti lavoratori (inclusi quelli tedeschi), dei Paesi mediterranei e di quelli dell’Europa orientale.
Accanto a questa iniziativa, quantomeno coraggiosa, per il lavoro e lo sviluppo e contro l’austerità, il governo di Roma ha messo il dito nella piaga di quelle scelte della Commissione Europea che brillano per autolesionismo, che danneggiano gli interessi degli europei, come le sanzioni alla Russia e la bocciatura del gasdotto South Stream, un regalo insperato per le monarchie del Golfo che sponsorizzano l’Isis.
Che dire, infine, del rifiuto dell’Italia, nonostante fortissime pressioni degli alleati dopo gli attentati di Parigi, di unirsi ai bombardamenti in Siria; dell’opera di pacificazione che il nostro Paese sta svolgendo in Libia; della repentina apertura di credito dell’Italia verso l’Iran dopo la fine dell’embargo? Sono dei passi molto importanti di presa di distanza da quella strategia geopolitica basata sulla menzogna, sulla guerra e sull’ingiustizia economica e sociale portata avanti da certi poteri finanziari transnazionali. Anche se la strada verso una politica più consapevole dei rischi e delle nuove opportunità per l’Italia e per l’Europa rimane ancora lunga, le ultime mosse del governo Renzi contengono una carica riformatrice ed europeista che non si può non vedere e stimolare negli aspetti che più stanno a cuore al cattolicesimo sociale e politico.
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