Brexit: un vantaggio per l’Europa
Il prossimo 23 giugno il popolo britannico sarà chiamato alle urne per esprimersi sulla permanenza o meno all’interno dell’Unione europea; è il cosiddetto referendum Brexit, un altro di quei momenti cruciali per l’esistenza dell’Unione che, ormai periodicamente, affronta una crisi dopo l’altra.
Ma siamo proprio certi che questo referendum costituirà davvero un altro passo verso la dissoluzione della casa comune europea? Nonostante quanto appaia nei dibattiti sui diversi media, questo referendum costituirà una svolta epocale per l’Unione europea ma probabilmente in una direzione completamente opposta al comune sentire. Facciamo ordine.
L’Unione si è dimostrata inefficace nella gestione delle diverse crisi continentali e globali che ci hanno afflitto in questi anni; ciò è avvenuto perché l’Unione europea è un’istituzione incompiuta: essendo priva degli strumenti tipici delle autorità statuali, non disponeva (e non dispone) dei mezzi necessari a definire ed imporre decisioni politiche; la potestà d’imperio, attributo intrinseco della sovranità degli Stati, le è stato concesso in una modalità flebile e comunque in modo indiretto e sempre tramite il filtro degli stati membri.
Inoltre il modello istituzionale dell’Unione, con una stratificata e singolare ripartizione delle competenze, non facilita neanche la rappresentanza democratica. I cittadini sono chiamati a votare il Parlamento europeo, ma quest’ultimo non dispone di quei poteri effettivi che gli europei, educati ai dogmi democratici delle rivoluzioni americane e francesi, pensano intrinseci al potere legislativo e che invece, nel quadro continentale, sono poco più di una finzione: in Europa comandano i governi dei singoli Stati e di conseguenza la politica dell’Unione è sempre stata il minimo comune denominatore delle politiche di tutti i governi nazionali. Non è dunque un caso che l’Unione non sia stata in grado di gestire efficacemente le crisi: perché non sarebbe in grado di gestire efficacemente alcunché.
Questa situazione è stata anche un comodo parafulmine cui i singoli governi nazionali hanno ricorso per scaricare sull’Europa le proprie incapacità e le proprie indecisioni, anche quando gli stessi governi erano consci che la risoluzione di molti problemi avrebbe invece richiesto un aumento dei poteri effettivi dell’Unione.
Questo approccio schizofrenico, talvolta populistico, dei governi nazionali si trova anche nel referendum Brexit che il governo di Londra ha prima brandito come minaccia per ottenere altri vantaggi dall’Europa, tra l’altro solo a favore del popolo britannico, ma che poi gli si è ritorto contro. Oggi il governo britannico è attanagliato nella stessa morsa del governo greco di un anno fa: dopo aver predicato ai fini elettorali contro l’Unione è terrorizzato dal mostro che ha esso stesso evocato e che potrebbe fagocitarlo.
In effetti se il popolo britannico scegliesse di uscire dall’Unione, i veri problemi sarebbero più per i britannici, che in questi anni hanno goduto dei vantaggi della casa comune pur mantenendo un ruolo defilato e spesso ostruzionistico nei confronti dell’istituzione comune. Per l’Europa invece, la perdita del membro britannico, potrebbe paradossalmente costituire un vantaggio: i problemi che le isole britanniche subirebbero farebbero verosimilmente comprendere al resto dei popoli europei i reali vantaggi connessi all’appartenenza ad una casa comune. La rinegoziazione dei rapporti con Londra, fase necessaria per gestire l’uscita della Gran Bretagna, sarebbe un momento di riflessione comune per tutta l’Europa: le crisi attraversate in questi anni sarebbero rivissute da tutti i paesi all’interno di una nuova consapevolezza su cosa realmente significa l’Europa e la sua scomparsa; questa rivisitazione condurrebbe anche ad una concomitante fase di riscrittura delle regole comuni, alla quale il governo di Londra, per singolare contrappasso, non parteciperebbe: gli avversari dell’Unione perderebbero così il loro alleato più importante ed il processo di riunificazione ripartirebbe.
Se invece la Gran Bretagna decidesse di restare nell’Unione, il ruolo defilato che ha cercato e ottenuto nei mesi scorsi la escluderebbe comunque dai processi di revisione delle regole europee che ripartirebbero in ogni caso ed i cui prodromi già oggi si rilevano nelle discussioni in corso tra quelle cancellerie continentali che storicamente sono state sostenitrici dell’idea di Europa.
In definitiva la Brexit, lungi dal divenire quell’evento fatale per l’Unione che tanti paventano, è invece già divenuto l’elemento scatenante per la rinascita della casa comune.
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