Comunali, atto primo

Nessuna grande città, nemmeno la “rossa” Bologna, consacra il sindaco al primo turno; il Pd cede consensi ma tiene un po’ ovunque; il M5S si propone come alternativa di governo, ma solo a Roma e Torino, mentre nel resto del Paese fatica ad emergere; il centro-destra dove si presenta unito si mostra assai competitivo. Questo, a grandi linee, il dato del primo turno delle amministrative. Tra quindici giorni, al ballottaggio, si tireranno le somme finali.

Quali pronostici si possono fare? Considerata la grande massa dei non votanti, circa il 38 per cento, risulta arduo farne. C’è infatti a disposizione un notevole serbatoio cui attingere e forse le forze politiche invece di battibeccare, come fanno in queste ore Pd e 5 Stelle, su chi ha vinto e chi ha perso, dovrebbero interrogarsi su questa enorme disaffezione al voto che rappresenta un vero e proprio tarlo democratico. C’è poi da capire come come si muoveranno le formazioni escluse dai ballottaggi, anche se ormai sappiamo bene che gli elettori seguono dinamiche tutte loro, spesso in totale dissonanza dalle indicazioni degli apparati di partito.

Difficile dunque fare previsioni. Si può però ragionevolmente pensare che la Cinque stelle, Virginia Raggi, diverrà la prima donna sindaco di Roma. Paiono infatti ridotte le possibilità del Pd Roberto Giachetti, di ribaltare uno scarto di voti tanto ampio. D’altronde se la destra, come buon senso avrebbe voluto, fosse stata unita, adesso il Pd sarebbe fuori gioco, pagando lo scotto della vicenda Marino. Quell’incredibile sfiducia ad un sindaco uscito dai propri ranghi, complice l’aperta ostilità di palazzo Chigi, pesa comunque come un macigno sulla disponibilità degli elettori romani di riportare i democratici alla guida della città.

La destra unita, che a Roma si sarebbe contesa il Campidoglio con il M5S, viene premiata a Milano. Stefano Parisi si ferma ad un’incollatura da Giuseppe Sala, patron dell’Expo prestato alle file del centro-sinistra. Quello sotto la Madonnina sarà un appassionante duello tra due candidati di ottima levatura e di profilo abbastanza simile. “Bonnet blanc” e “blanc bonnet” (cappello bianco  e bianco cappello) si diceva in Francia alle presidenziali del 1969, tra Georges Pompidou e Alain Poher, due uomini in cui era difficile scorgere differenze politiche. Lo stesso accade a Milano che, comunque vada, avrà un sindaco affidabile e del tutto impermeabile agli sbandamenti ideologici. Qualcosa che si attaglia perfettamente al tradizionale pragmatismo meneghino, a quella Milano riformista e moderata che, da sempre, è la vera anima della città.

Pare assicurata, salvo inverosimili capovolgimenti, la riconferma di Luigi De Magistris, sindaco di lotta e di governo, che pare fatto apposta per piacere ai napoletani. Il Pd è fuori dalla contesa anche a causa di assurde lotte intestine che lo hanno penalizzato oltremisura. Per l’italoforzuto Giovanni Lettieri, un compito improbo ma anche l’opportunità di dar vita a un centro-destra lanciato verso il futuro.

A Torino infine la contesa più delicata perchè Piero Fassino rischia più del dovuto. Percepito – non a torto – come uomo dell’establishment subalpino, il “grissino di ferro” (come veniva soprannominato ai tempi del vecchio Pci) dovrà davvero impegnarsi a fondo per superare la giovane e rampante Chiara Appendino. L’esperienza gioca dalla sua parte ma gli elettori, magari nel segno di un bizzarro connubio tra destra e sinistra radicale (entrambe storicamente accomunate da un’ atavica avversione verso qualsiasi riformismo), potrebbero essere tentati dall’avventura con i Cinque stelle che, in tutta franchezza, rappresenta davvero un salto nel buio. Simpatico e accattivante finché si vuole, ma pur sempre tale.

Osservando il quadro nazionale, è chiaro che il Pd patisce le difficoltà incontrate alla guida del Paese, specie nel fronteggiare la crisi economica. Le elezioni amministrative servono per eleggere i sindaci e non possono mai costituire un banco di prova per il governo. Evidente però che esiste qualche influenza tra il voto locale e la politica nazionale. Ne parleremo meglio, e con maggior cognizione di causa, dopo i ballottaggi. E’ indubbio che qualora il Pd perdesse tutte e quattro le grandi città si aprirebbe una crisi che si rifletterebbe sugli appuntamenti futuri, referendum costituzionale compreso. Di certo, dopo il voto di domenica, con un Pd attorno al 30 per cento, non dovremo più sentire il segretario del partito magnificare il 41 per cento delle europee 2014. Un risultato eccezionale troppe volte presentato come definitivo ed irrevocabile; una clava usata contro tutti che ha fatto del male soprattutto al Pd stesso.

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