Perù: indios dell’Amazzonia contro il governo

“El pueblo unido jamás será vencido”, il popolo unito non sarà mai sconfitto. Per lunghi anni queste parole, il titolo di una canzone cilena del 1970, sono state per molti il simbolo della lotta democratica contro l’oppressione e la dittatura, ma ultimamente parevano appartenere solo più al repertorio musicale degli Inti-illimani, con un sapore più nostalgico che militante. Per questo fa effetto sentirle ripetere da una folla di manifestanti latinoamericani che rivendica i propri diritti contro decisioni governative autoritarie. E se subito dopo la polizia inizia a sparare sui presenti e si scatena il massacro, la scena ti colpisce “come un pugno nello stomaco”.

Sono gli attimi cruciali e maggiormente intensi di “When Two Worlds Collide” (Quando due mondi si scontrano – Perù 2016) di Heidi Brandenburg e Mathew Orzel, il film che si è aggiudicato la vittoria come miglior documentario internazionale al XIX Festival Cinemambiente di Torino. Al centro della storia, la narrazione in prima linea del conflitto che nel 2009 vide gli indios dell’Amazzonia opporsi alle decisioni del governo peruviano, in un crescendo di tensione degenerato in sanguinosi scontri fra le forze di polizia e i manifestanti, con decine di vittime e centinaia di feriti. Episodi gravi dei quali poco si è parlato all’epoca sui mezzi di comunicazione globali, e che nella pellicola vengono rivissuti in maniera empatica ed emozionale, ma senza mai smarrire quella oggettività di sguardo che il documentario deve mantenere per definizione. Uno resoconto attento e partecipe, coinvolto e coinvolgente, che tuttavia non si lascia offuscare da tentazioni di partigianeria o divagazioni retoriche, ma va dritto al cuore e al cervello dello spettatore, con un linguaggio lucido e un montaggio efficace, eccellente sia nei contenuti che nella resa filmica. Reduce dal successo al Sundance Film Festival di quest’anno, dove era stato presentato in anteprima mondiale nella sezione “World Documentary Competition”, il film ha messo d’accordo critica e pubblico, arrivando al gradino più alto anche alla manifestazione del capoluogo subalpino.

Come era già stato per “Virunga”, il film vincitore dell’edizione 2014 col racconto della guerra che aveva travolto la riserva dei gorilla di montagna in Repubblica democratica del Congo, anche “When Two Worlds Collide” è il frutto di un caso di serendipità, cioè trovare una cosa mentre ne cerchi un’altra. In entrambi i casi i documentaristi erano partiti per raccontare una storia di ambiente, trovandosi poi coinvolti in qualcosa di più grande, conflitti bellici e sociali sulla base di motivazioni economiche e strategiche, legate al controllo delle risorse naturali, ennesima dimostrazione di quanto le tematiche ecologiche non siano appannaggio di pochi ambientalisti sognatori, ma siano cruciali e imprescindibili per le sorti delle Nazioni, del Pianeta, di tutti noi.

In questo caso, la vicenda si svolge in Perù, ma il copione è lo stesso già visto in altre parti del mondo, principalmente in Africa e America Latina, ma anche altrove, compresa la “civilissima” Europa. Eletto alla guida del Perù nel 2006, il presidente Alan Garcia coltiva da subito l’ambizione di portare il proprio Paese nel novero delle nazioni “che contano” a livello mondiale e per ottenere questo risultato punta tutto sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, avviando una politica estrattiva molto aggressiva nei confronti della foresta amazzonica, spazzata via per accedere alle riserve di minerali e combustibili fossili custodite nel sottosuolo della selva. Un modus operandi che non è certo una novità nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”, che vede enormi interessi economici in gioco, influenzati non poco da fattori esogeni, quale in questo caso la contemporanea sottoscrizione dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e il conseguente interessamento delle multinazionali Usa a investire nel Paese per predarne le ricchezze, secondo uno schema consolidato che garantisce a queste ultime lauti profitti, lasciando ben poco in cambio all’economia locale, a fronte di devastazioni ambientali e sociali spesso irreversibili.

Da poco usciti dall’università e dopo aver fondato la propria casa di produzione cinematografica, Mathew Orzel e Heidi Brandenburg si trovano in Perù quasi per caso, poiché quest’ultima aveva vissuto in quel Paese gli anni dell’infanzia e aveva deciso di ritornarvi. I cineasti vorrebbero documentare la svolta politico-economica del governo e le sue ricadute sugli indios dell’Amazzonia, ma non immaginano certo la piega che gli avvenimenti stanno per prendere. La reazione delle popolazioni autoctone, che vivono in perfetta simbiosi con la foresta e rischiano di veder scomparire le loro fonti di sostentamento e con esse la propria cultura e il proprio stile di vita in nome di uno sviluppo insostenibile che non condividono, è immediata. La protesta trova voce nei discorsi del leader degli indigeni Alberto Pizango, pacato nei toni, ma fermo nelle rivendicazioni, supportato da manifestazioni molto partecipate e condotte con estrema determinazione, bloccando strade e impianti petroliferi. Alle proteste, il governo di Lima, forte (almeno in apparenza) del sostegno della maggioranza dell’elettorato, risponde con un atteggiamento di chiusura, rifiutando di abrogare le leggi che gli indigeni ritengono incostituzionali e lesive dei loro diritti, e decidendo di sgombrare i manifestanti con la forza. Si arriva così inevitabilmente allo scontro, che lascia sul campo, come si diceva all’inizio, decine di caduti, sia fra i civili che fra le forze dell’ordine, e che vede anche il truce episodio di alcuni poliziotti presi in ostaggio e massacrati per rappresaglia. Uno scenario sull’orlo della guerra civile, determinato dalla rigidità delle fazioni in lotta.

Il film esplora tutto questo, scendendo dalle tematiche internazionali e geo-strategiche alla psicologia e alle emozioni dei personaggi coinvolti, sia durante lo svolgimento dei fatti, sia con interviste a posteriori, raccolte in lunghi anni di soggiorno e lavorazione sui luoghi delle vicende, incastonando il tutto in maniera chiara e fluida, lasciando allo spettatore molto su cui riflettere, a partire dalle continue violazioni che l’uomo impone al Pianeta.

Forzature non certo prive di conseguenze, come dimostra il medio-metraggio “La jeune fille et les Tiphons”, vincitore a sua volta nella categoria internazionale “one hour”, che documenta i devastanti effetti dei cambiamenti climatici nell’arcipelago delle Filippine, squassato da tifoni sempre più frequenti e di violenza mai vista.

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