Il filo rosso delle tragedie e delle emergenze

Nei giorni scorsi, in contemporanea con il terremoto che ha colpito il centro Italia focalizzando gli organi d’informazione nostrani sull’emergenza, nella lontana Kabul, capitale dell’Afghanistan, è avvenuto un grave episodio che ha avuto un’eco più limitata. Un piccolo gruppo di assalitori e kamikaze ha attaccato il campus dell’Università americana di Kabul, dove studiano i figli dell’élite afgana. Il bilancio, pur pesante (15 morti e 44 feriti) è stato relativamente contenuto, se si considera che le forze di sicurezza, intervenute tempestivamente, hanno dichiarato di aver tratto in salvo circa 700 persone. In altre parole, si è rischiata l’ennesima strage. Nel cuore della capitale. In un Paese che la propaganda occidentale si ostina a dipingere come sostanzialmente pacificato. Mentre i fatti mostrano una realtà completamente diversa.

I due episodi possono apparire distanti e completamente avulsi tra loro, ma in un mondo globalizzato e complesso come quello attuale c’è sempre un filo rosso che ricollega tutto, in particolare tragedie ed emergenze.

Dopo 15 anni di presenza militare straniera, una forza di occupazione mascherata da “operazione di pace” e che vede anche la presenza di un contingente italiano, l’Afghanistan è un Paese di fatto fuori controllo, con ampie zone controllate dai talebani o da “signori della guerra” locali, mentre il governo ufficiale filo-statunitense non è in grado di presidiare nemmeno la capitale. È di poche settimane fa la strage ai danni della minoranza Hazara, 80 morti e centinaia di feriti, perpetrata da attentatori affiliati all’Isis, sempre nel centro di Kabul. Uno stillicidio quotidiano di attentati, sparatorie e combattimenti che miete centinaia di vittime fra la popolazione civile, perlopiù nel totale disinteresse dei mass media occidentali, che si accorgono del terrorismo solo quando colpisce a casa nostra.

L’Afghanistan attuale è paradossalmente ancora più violento e insicuro di quello precedentemente sottoposto al regime feroce e integralista dei talebani, solo apparentemente spazzati via dalle bombe della coalizione guidata dagli americani, ma in realtà ancora sostanzialmente padroni di buona parte del territorio, alla faccia delle forze di sicurezza ufficiali, quelle armate e addestrate dagli USA e dai loro alleati. Un predominio che viene ora insidiato dai miliziani dell’Isis, la propaggine locale del “califfato” insediato a cavallo fra Iraq e Siria, altrettanto se non ancor più pericolosi e fanatici. Nel frattempo la popolazione civile, presa fra incudine e martello, patisce ogni sorta di privazioni, spesso rimane coinvolta negli scontri, finisce vittima di guerra e non vede né speranza né futuro. E, talvolta, cerca di scappare da noi, dove qualcuno li considera “invasori”, e non perde occasione per additarli come causa di ogni male.

Alcuni di loro erano rifugiati ad Amatrice, epicentro del sisma che ha funestato il nostro Paese. E qui si chiude il cerchio che, come si diceva, in un mondo globalizzato collega ogni cosa. Le macerie hanno travolto tutti, senza distinzioni di razza-età-sesso-religione. I rifugiati afgani scavavano fianco a fianco con gli altri soccorritori, nel tentativo di salvare i propri connazionali e le altre vittime. Questo, mentre i soliti polemisti professionisti non perdevano occasione per spargere odio e acredine rivangando il trito e fasullo tormentone degli immigrati “ospitati negli hotel di lusso” che dovrebbero lasciare il posto agli sfollati del terremoto. Polemica odiosa, inutile e fasulla.

Piuttosto, ci piacerebbe che i militari del nostro contingente inutilmente dispiegato in Afghanistan a rischiare la pelle, fossero lì a dare una mano. Quanto ci farebbero comodo quegli uomini addestrati e capaci in queste emergenze, che a guardare bene emergenze non sono. Perché ormai è ben noto che il territorio italiano è a rischio terremoti, mentre solo un edificio su quattro è costruito secondo criteri anti sismici. Per questo sarebbe ora di portare avanti una seria politica di prevenzione, in grado di fare la differenza tra la vita e la morte, come dimostra l’esempio virtuoso di Norcia, cittadina ricostruita in anni recenti secondo normative antisismiche che hanno consentito di non avere alcuna vittima, nonostante la vicinanza dell’abitato all’epicentro del sisma.

Certo, ristrutturare un patrimonio edilizio così esteso ha dei costi enormi. Per questo sarebbe stato il caso di valutare bene le priorità del Paese, prima di spendere 5 miliardi di euro per una missione militare in Afghanistan che dopo quindici anni di attività ha prodotto un Paese ancora più instabile e devastato di prima, nonostante l’indubbio impegno dei nostri militari dislocati sul territorio. Chissà se, al momento di votare il rifinanziamento della missione, qualcuno in Parlamento si renderà conto che sarebbe meglio destinare quelle risorse per ristrutturare le case nelle zone più a rischio, per renderle antisismiche. O se invece ci limiteremo, come al solito, a recriminare a tragedia avvenuta, spendendo il triplo per risarcimenti e ricostruzioni e, quel che è peggio, versando lacrime di coccodrillo per vittime che potevano essere evitate.

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