Dai cristiani del Medio Oriente un aiuto a capire il nostro tempo

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La lotta che coinvolge i cristiani del Medio Oriente, in questa tragica fase della loro storia, “non è contro forze umane, non è contro carne e sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i signori delle tenebre di questo tempo, contro le schiere del male in luoghi che sono legati al cielo”. Con queste parole, riportate dall’Agenzia Fides, il Patriarca greco ortodosso Theophilos III di Gerusalemme, all’XI Assemblea generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente che si è svolta dal 6 all’8 settembre scorsi ad Amman, in Giordania, ha delineato lo scenario dai tratti escatologici in cui si collocano anche le emergenze e i drammi vissuti dalle comunità cristiane nella regione stravolta da guerre e fanatismi feroci. Un concetto ripreso con estrema durezza dall’Amministratore apostolico del Patriarcato Latino mons. Pierbattista Pizzaballa nel suo discorso d’ingresso a Gerusalemme il 21 settembre scorso: “Il diavolo, che è all’origine delle divisioni, sembra avere preso casa a Gerusalemme”.

L’Assemblea aveva per titolo “Celebrate il Signore perché è buono, la sua misericordia dura in eterno”, tratto dal salmo 118, per sottolineare la vocazione dei cristiani ad essere strumenti di misericordia in quella parte del mondo devastata da violenze, ingiustizie, cospirazioni e scontri di potere. I cristiani delle Chiese del Medio Oriente per le cose su cui riflettono ci sono di esempio nel leggere i segni dei tempi anche se li stiamo lasciando soli, non solo materialmente.

In Occidente ci viene fatto vedere un altro film e non siamo resi consapevoli delle effettive conseguenze delle nostre politiche su quell’area. Anzi, non siamo informati in modo accettabile neanche su quali siano state le scelte compiute e le strategie effettivamente perseguite. Per ora solo il Regno Unito ha intrapreso, con il rapporto Chilcot che muove gravissime accuse all’ex primo ministro Tony Blair, una operazione di emersione della verità per una profonda riscrittura della storia degli ultimi quindici anni, per una narrazione più onesta di ciò che è successo in Medio Oriente. Sarà pur vero che le responsabilità dell’Italia non sono paragonabili a quelle di altre nazioni alleate,  ma rischiamo di accontentarci delle versioni delle veline di guerra che ci vengono propinate in dosi massicce da media poco indipendenti, salvo poi osannare coralmente il coraggio di Papa Francesco, rimanendo nei fatti sordi al suo invito concreto a fare della non violenza un metodo politico per la pace.

“Data la situazione attuale e le dure condizioni della regione” ha aggiunto con molto realismo il Patriarca Theophilos nel suo discorso d’apertura, “è d’obbligo che la nostra attenzione si concentri sulla necessità di ridurre le sofferenze umane” e su quella di “proteggere la presenza cristiana. Questa – ha sottolineato il Capo della Chiesa greco ortodossa di Gerusalemme – è la nostra responsabilità, e noi non possiamo e non dobbiamo aspettare che altri se ne facciano carico al posto nostro”.

Scarsa risulta anche l’attenzione occidentale verso le priorità indicate nel documento finale, elaborato dai 22 Capi e rappresentanti ufficiali di Chiese e comunità cristiane diffuse nell’area: bloccare la vendita di armi ai gruppi terroristi che imperversano in Siria e Iraq ed ai Paesi che gliele forniscono, favorendo una soluzione pacifica del conflitto; fornire tutto il sostengo necessario per gli sfollati, in particolare i cristiani che hanno dovuto abbandonare le loro case e le loro terre per sfuggire alla guerra e alle persecuzioni; sbloccare l’elezione del presidente della Repubblica libanese (carica che spetta a un cristiano ed è vacante da oltre due anni); una soluzione alla crisi palestinese e un appello alla liberazione dei vescovi (Youhanna Ibrahim e Boulos al-Yaziji) rapiti tre anni fa in Siria.

Solo se troveremo il coraggio di condividere le sofferenze e le istanze di questi nostri fratelli e sorelle nella fede, si apriranno i nostri occhi sulla natura dei tempi che viviamo.

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