La lotta alla povertà implica un nuovo progetto politico

La Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà è l’occasione per rilanciare su molteplici piani il tema del contrasto alla povertà. Grazie all’iniziativa di Padre Joseph Wresinski e di molti difensori dei diritti umani riuniti il 17 ottobre 1987 sulla piazza del Trocadero a Parigi per affermare il loro rifiuto della miseria, la Giornata viene celebrata in questa data, ogni anno dal 1992.

La lotta alla povertà assume una dimensione planetaria ed implica una revisione dei modelli di sviluppo e l’adozione di un nuovo paradigma economico e politico. E costituisce uno dei 17 Obiettivi in cui si articola l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile adottata lo scorso anno dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Se l’obiettivo di eliminare la povertà estrema in tutto il mondo, entro il 2030, nella quale rientrano coloro che vivono con meno di $1,25 al giorno, coinvolge l’Italia più come promotrice di iniziative e di solidarietà verso i Paesi più poveri, molto resta da fare invece sul piano interno per ridurre entro il 2030, almeno della metà la percentuale di uomini, donne e bambini di ogni età che vivono in povertà in tutte le sue dimensioni.

Penso che non sia superfluo un riepilogo dei principali indicatori sulla povertà nel nostro Paese. L’analisi dei dati sulla povertà in Italia, che il recente Rapporto Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) ha monitorato in relazione all’attuazione dell’Agenda 2030, non può che partire dal report annuale Istat 2016 relativo all’anno 2015, che attesta che l’incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile sui livelli stimati negli ultimi tre anni per le famiglie, con variazioni annuali statisticamente non significative (6,1% delle famiglie residenti nel 2015, 5,7% nel 2014, 6,3% nel 2013) e con differenze territoriali marcate tra Centro-Nord e Sud. A livello territoriale è il Mezzogiorno a registrare i valori più elevati di povertà assoluta (9,1% di famiglie, 10,0% di persone) e il Centro quelli più bassi (4,2% di famiglie, 5,6% di persone).

L’incidenza della povertà assoluta cresce invece se misurata in termini di persone, toccando il 7,6% della popolazione residente nel 2015, contro il 6,8% nel 2014 e 7,3% nel 2013.

Tra le persone coinvolte 2 milioni 277 mila sono donne (7,3% l’incidenza), 1 milione 131 mila sono minori (10,9%), 1 milione 13 mila hanno un’età compresa tra 18 e 34 anni (9,9%) e 538 mila sono anziani (4,1%). Negli ultimi dieci anni l’incidenza del fenomeno è rimasta stabile tra gli anziani (4,5% nel 2005) mentre ha continuato a crescere nella popolazione tra i 18 e i 34 anni di età (9,9%, più che triplicata rispetto al 3,1% del 2005) e in quella tra i 35 e i 64 anni (7,2% dal 2,7% nel 2005).

Peggiorano le condizioni delle famiglie di 4 componenti (l’incidenza della povertà assoluta sale al 9,5% nel 2015 dal 6,7% dell’anno precedente), in particolare delle coppie con 2 figli (dal 5,9 all’8,6%) e delle famiglie con persona di riferimento tra i 45 e i 54 anni di età (dal 6,0 al 7,5%) ; rimangono stabili per le altre tipologie familiari.

Livelli elevati di povertà assoluta si osservano per le famiglie con cinque o più componenti (17,2%), soprattutto se coppie con tre o più figli (13,3%) e famiglie di altra tipologia, con membri aggregati (13,6%); l’incidenza sale se in famiglia ci sono almeno tre figli minori (18,3%) e scende nelle famiglie di e con anziani (3,4%) tra le famiglie con almeno due anziani.

Anche i dati sulla povertà relativa sono allarmanti: nel 2015 essa riguarda in termini di famiglie 2 milioni 678 mila nuclei, pari al 10,4% delle famiglie residenti (dal 10,3% del 2014) e 8 milioni 307 mila persone, pari al 13,7% delle persone residenti (rispetto al 12,9% del 2014).

La povertà è più accentuata al Sud dove, secondo una recente rilevazione dell‘Eurispes, otto famiglie su dieci (l’83,9%) hanno visto diminuire il proprio potere d’acquisto. Nel 77% dei casi si è costretti ad utilizzare i risparmi per poter arrivare a fine mese. Molte famiglie hanno difficoltà a pagare le spese mediche (69,4%). Saldare la rata del mutuo acceso per l’acquisto della propria casa (78%) o pagare il canone d’affitto (67,3%) sono diventate una vera e propria impresa. Il 60,9% di chi vive al Sud nell’ultimo anno ha dovuto far ricorso a forme di pagamento rateizzate nel tempo per poter acquistare beni come elettrodomestici, automobili, vestiario, ecc. Il 36,3% ha lavorato in nero svolgendo in maniera informale servizi presso conoscenti per arrotondare. Pur di far fronte alla crisi si risparmia su tutto, anche sui beni di prima necessità come i generi alimentari (81%).

Gli effetti della povertà sul piano dell’alimentazione riguardano tutte le aree deboli del Paese (periferie urbane, aree depresse, zone deindustrializzate) e precludono la possibilità di accedere al cibo sano e di qualità, surrogato da junk food ed espongono le persone all’insorgere di malattie legate alla cattiva alimentazione, all’obesità ed alla denutrizione, soprattutto tra i minori.

La situazione è drammatica in Italia per quanto riguarda la povertà minorile. Le categorie più a rischio, infatti, sono le fasce più indifese e soprattutto i bambini e ragazzi con meno di 18 anni. Secondo l’Istat, 1 milione e 45 mila minori sono in condizione di “povertà assoluta”, mentre 1 milione e 986 mila minori sono in “povertà relativa”. Il confronto sul decennio è allarmante: nel 2005 il 3,9% dei minori si trovava in povertà assoluta. Nel 2015 un minore su dieci si trova in povertà assoluta.

Vi è poi una povertà “carsica” difficile da rilevare, ma che emerge di fronte a rilevazioni particolari. È il caso della povertà sanitaria che attesta la difficoltà crescente per la parte più debole della popolazione ad accedere alle cure mediche. Ben undici milioni di italiani non dispongono delle risorse necessarie per potersi curare adeguatamente. Si registra un gap crescente tra le tipologie familiari abbienti e quelle povere, confermato dal differente peso percentuale medio della spesa sanitaria che varia tra il 3,8% per le famiglie non povere e l’1,8% delle famiglie povere. I ridotti margini di spesa di queste ultime si traducono in una sostanziale noncuranza per la propria salute, anche quando ce ne sarebbe bisogno, e dunque si traducono in un tendenziale aumento della vulnerabilità psico-fisica.

Sul versante previdenziale desta fortissima preoccupazione la scelta adottata nel 1995, con le successive modifiche, di un rigido impianto contributivo nel calcolo delle pensioni, privo di quegli effetti perequativi che possano permettere a tutti di raggiungere almeno la pensione sociale. Tale meccanismo rischia di trasformarsi, in assenza di correttivi sostanziali, in una miniera di povertà. Stante l’alto tasso di disoccupazione, la diffusa precarietà con lunghi periodi di inattività che comporta discontinuità nei versamenti contributivi, l’esiguità dei salari medi soprattutto quelli previsti dalle nuove forme contrattuali per i giovani, si creano le premesse per il sorgere di una generazione di anziani pensionati poveri di massa, un fenomeno inedito nell’Italia post bellica e potenzialmente destabilizzante, sia sul versante delle relazioni familiari sia dal punto di vista sociale.

Alla luce delle tendenze rilevate nel contesto italiano si rendono necessari due tipi di interventi. In promo luogo occorre fronteggiare il dilagare della povertà e l’aumento delle disuguaglianze con dei piani mirati. In secondo luogo occorre un cambiamento delle politiche economiche e monetarie tale da interrompere l’impoverimento dei ceti medi e lavoratori e l’aumento delle distanze sociali fra una esigua fascia di cittadini sempre più ricchi ed il resto della società che si depaupera, creando in prospettiva dei seri rischi per la democrazia.

Sul versante del contrasto alla povertà si avverte l’urgenza della definizione di un Piano nazionale di lotta alla povertà che consenta una razionalizzazione ed armonizzazione degli interventi ed il loro adeguamento ad un piano di intervento che non potrà che avere una programmazione di durata pluriennale. Ciò per consentire un pieno coinvolgimento degli Enti Locali, delle strutture pubbliche operanti sul territorio in collaborazione con il Terzo Settore. Un piano che preveda il coinvolgimento attivo delle persone che si trovano in povertà assoluta, a cui sono rivolti gli interventi, con l’obiettivo di accompagnare ciascuno al maggior grado di autonomia possibile attraverso interventi di assistenza, cura, formazione e riqualificazione professionale, e che permetta al maggior numero possibile di cittadini un reinserimento nel mondo del lavoro.

In questa direzione va l’estensione del Sia (Sostegno all’Inclusione Attiva) a tutto il territorio nazionale e l’impegno annunciato dal governo, ribatito e rafforzato nella bozza della nuova legge di bilancio, di avviare dal prossimo anno un Piano nazionale per la lotta alla povertà dotandolo di risorse che nel complesso arrivano ad un miliardo.

Va sostenuta ed incoraggiata questa decisione anche rispetto alle sollecitazioni che giungono dalla società civile. Come quella dell’Alleanza contro la povertà in Italia, la cui proposta del Reis (Reddito di inclusione sociale) prevede un piano di coinvolgimento delle reti sociali pubbliche e private operanti sul territorio, un arco temporale di cinque anni per l’attuazione ed un impegno di spesa progressivo che alla fine viene quantificato in sei miliardi annui.

Sul versante delle politiche generali si rende urgente un cambiamento di paradigma. Molta della povertà che si è diffusa in Italia dal 2007 in avanti, pressoché raddoppiandosi, è la conseguenza di una serie di fattori economici generali: la diminuzione di posti di lavoro, l’aumento della disoccupazione, l’introduzione di forme contrattuali che rendono il lavoro più precario, la mancanza di una politica dei redditi e la generale tendenza alla diminuzione dei salari della stragrande maggioranza dei lavoratori – a fronte di un aumento ingiustificato delle retribuzioni delle posizioni apicali in ogni settore -, lo smantellamento del welfare e delle reti di protezione sociale, la deflazione economica e la deflazione tecnologica.

Si profila dunque la necessità di aprire con estrema urgenza, in Italia ed in Europa (specie nell’Eurozona) un nuovo ciclo economico caratterizzato da politiche espansive allo scopo preciso di riattivare la domanda interna, senza la quale non sembra esservi via d’uscita dalla spirale deflattiva.

Si impongono, inoltre nuove modalità di gestione delle politiche monetarie (attualmente orientate a puntellare il sistema un sistema finanziario per molti aspetti opaco anziché a sostenere lo sviluppo sostenibile dell’economia reale), della finanza pubblica e del debito sovrano in modo da eliminare, o quantomeno ridurre, e rendere socialmente gestibile, il peso dei fenomeni speculativi sull’economia, sui cittadini e sulle comunità.

La lotta alla povertà, se vuole essere credibile ed efficace e non superficiale, ideologica, modaiola e mediatica richiede la messa in discussione delle politiche economiche e finanziarie che più si sono imposte negli ultimi decenni. Solo anelando ad un nuovo modello di società il contrasto alla povertà potrà ottenere dei risultati tangibili e realizzare quanto Papa Francesco ha auspicato per questa Giornata: unire « le nostre forze, morali ed economiche, per lottare insieme contro la povertà che degrada, offende e uccide tanti fratelli e sorelle, attuando politiche serie per le famiglie e per il lavoro».

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