Siria: di cosa siamo stati capaci
Video Incontro Senato con l’Arcivescovo Maronita di Aleppo, Joseph Tobji
Brusco sarà il risveglio il giorno in cui degli imprevedibili rivolgimenti della storia dovessero presentare all’Occidente il conto delle responsabilità di ciò che è realmente successo in Medio Oriente in questo secolo. La testimonianza che Joseph Tobji, Arcivescovo maronita di Aleppo ha reso il 4 ottobre scorso all’ufficio di Presidenza della Commissione Esteri del Senato, ci aiuta a renderci conto del grado di falsità con cui i media ed i governi occidentali presentano i fatti successi in Siria dal 2011 ad oggi.
La voce del prelato ha avuto poche righe di cronaca e merita di essere riassunta nei suoi punti salienti, perché senza ristabilire la verità storica non si potrà neanche costruire un futuro di pace.
Innanzitutto, mons. Tobji ricorda che la Siria era uno dei più fiorenti stati del Vicino Oriente. La città di Aleppo storicamente strategica per la “sua posizione centrale nella strada della seta che collegava l’India con l’Europa”, è la capitale economica della Siria. “Nel 2011, in Aleppo si registravano circa 40.000 imprese industriali nelle quali lavorava circa un milione di persone. Il contributo dell’economia di Aleppo nel Pil nazionale era circa il 40%”.
“L’85% della popolazione sono arabi musulmani sunniti, mentre la popolazione cristiana di Aleppo rappresenta la seconda più grande comunità cristiana nel Medio Oriente (circa il 10% dopo i 15% di Beirut)”. Ed ecco l’affermazione che ci deve far rabbrividire: “I cristiani in Siria hanno vissuto in pace con i musulmani per 1400 anni, perché l’islam in Siria è un islam moderato, custode dei valori, che crede nel dialogo, nella convivenza pacifica e nei valori umani ed è ben diverso dall’islam che inneggia oggi al radicalismo e al salafismo. Questo tipo di Islam non l’abbiamo visto né mai è stato presente in Siria”. Queste parole suonano come un terribile atto di accusa verso i nostri alleati, esportatori della democrazia, i quali, allo stesso modo in cui fecero a Sarajevo dove le diverse religioni vivevano in pace da cinque secoli, hanno introdotto in Siria delle milizie fondamentaliste dedite ad ogni sorta di atrocità sulla popolazione per innescare lo scontro etnico e religioso. Ecco come il vescovo di Aleppo descrive questo deliberato processo di distruzione della statualità siriana, messo in atto dall’Occidente e da qualche petromonarchia del Golfo: “La mobilitazione popolare, la cosiddetta ‘rivoluzione‘ che inneggiava alla libertà, è stata pianificata dall’esterno e ha trovato il sostegno presso la popolazione attraverso le elargizioni di denaro. (…) Successivamente, una parte terza è stata messa in gioco con l’obiettivo di fomentare la situazione e trasformarla in un conflitto armato e sanguinoso. Le forze dell’ordine (la polizia e successivamente l’esercito) venivano rappresentate quindi come una forza che uccide il popolo. Toccando queste corde, per creare la spaccatura tra il governo e il popolo, è stata innescata anche la sedizione confessionale attribuendo al governo l’immagine di un regime di oppressione. Così facendo, si sono potute giustificare le rivendicazioni per spodestarlo. Nello stesso tempo, i gruppi armati ricevevano il sopporto per seminare il caos in Siria; un caos guidato dai finanziamenti esterni e da una propaganda mediatica pilotata. In questo modo, i gruppi armati hanno preso sotto il loro controllo vaste zone della Siria”.
Per due lunghissimi anni la città di Aleppo è stata sottoposta, ricorda il vescovo, ad “attacchi terroristici contro la popolazione della zona occidentale; i lanci dei missili, dei colpi di mortaio e delle cariche di esplosivi hanno causato, e causano ancora, molte vittime innocenti e tantissimi feriti. Questi eventi e la condizione in cui vive la popolazione civile, tuttavia, sono rimasti senza attenzione”, denuncia il prelato. Una attenzione che si è improvvisamente ridestata solo qualche settimana fa quando gli Stati Uniti erano preoccupati di far uscire vivi i gruppi terroristici intrappolati nella zona Est della città, per usarli nella guerra all’ultimo sangue contro Assad (e contro la Russia).
Il vescovo di Aleppo aggiunge altri particolari agghiaccianti di come hanno agito alcuni Paesi membri della Nato, come la Turchia, nella sua città: “la disoccupazione in Aleppo è dovuta anche alla distruzione delle fabbriche e degli stabilimenti industriali che si trovavano nella zona industriale al nord di Aleppo, vicino ai confini con la Turchia. Inoltre, ha avuto luogo anche il furto di molti macchinari e attrezzature industriali che poi sono stati trafficati in Turchia. (…) Questi e altri motivi hanno fatto sì che l’80% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà”.
Sotto il falso pretesto della democrazia un intero popolo ha subito la più grande delle violenze in seguito alle politiche attuate dai civilissimi governi degli Stati Uniti (presieduto da un Nobel per la pace), della Francia, del Regno Unito: quella di essere sradicato dalle proprie case e di esser ridotto alla condizione di profugo.
“La guerra in Siria – ci ricorda mons. Tobji – ha costretto molti cittadini, che vivevano in prosperità e benessere, ad abbandonare le loro città e le loro abitazioni trasferendosi in altri luoghi, dove vivono ora umiliati ed abbattuti moralmente. Mai avrebbero pensato di trasferirsi dalle loro case se non per gli eventi drammatici accaduti in Siria. (…). Prima della guerra, la popolazione in Siria era circa 23 milioni di persone, mentre oggi questo numero non supera i 13 milioni! Il che significa che metà della popolazione ora sono emigrati e sfollati. Dai 5 milioni, il numero degli abitanti di Aleppo prima della crisi, ne sono rimasti oggigiorno solo circa un 1.8 milione!”.
“Levare le sanzioni economiche che hanno recato un danno esclusivamente al popolo. Riaprire le ambasciate o qualsiasi altra forma di rappresentanza diplomatica. Trasmettere un’immagine realistica nei media”: sono le tre accorate richieste di Joseph Tobji al nostro Paese e all’intero Occidente per fermare un conflitto che altrimenti tende ad evolversi in detonatore di uno scontro su scala globale.
Una importante decisione diplomatica che va nel senso auspicato dal presule è stata senz’altro quella adottata da papa Francesco di elevare a cardinale al concistoro del prossimo 19 novembre, il nunzio apostolico a Damasco mons. Mario Zenari, che continuerà la sua missione nella Siria disastrata da cinque anni di guerra.
Ma perché le opinioni pubbliche, la società civile possano fare pressione per la ricerca di una soluzione al conflitto occorre che questo sia presentato nei suoi reali termini e non falsificato per una cosa che non è.
«La democrazia – è questa la saggia ed amara conclusione del vescovo di Aleppo – va costruita nel rispetto di ogni società e della sua cultura. L’aiuto che ci può essere fornito per costruire una società democratica è quello di aiutarci a formare una generazione che crede nel dialogo, nella pace e nel rispetto dei diritti umani. Il rispetto di noi e dei diritti del popolo siriano significano sostenerci nella formazione di questa generazione istruita, cosciente, che crede nel lavoro per la propria nazione e non imponendoci un cambiamento dall’esterno violando tutti i nostri diritti”.
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