Dal sogno americano all’incubo americano

Dal sogno americano all’incubo americano. Quello che è successo nella notte elettorale statunitense va addirittura oltre all’elezione del Presidente della nazione più potente del mondo. È la conferma definitiva e palese, al di là di ogni dubbio, che il mondo ha virato definitivamente verso una deriva reazionaria involutiva e pericolosa.

Perché l’elezione di Donald Trump a 45° presidente degli Stati Uniti è qualcosa che esce completamente dagli schemi dell’alternanza fra Democratici e Repubblicani che da sempre governano il Paese. Pur essendo stato eletto fra le fila dei Repubblicani, Trump è infatti qualcosa di totalmente diverso da quello che era stato il partito fino alla presidenza di George Bush padre, ovvero l’emblema dell’attaccamento ai valori tradizionali della vecchia America. Ed è anche parecchio oltre alle posizioni già estremistiche dei Tea Party, la frangia religiosamente integralista e economicamente ultraliberista che aveva guidato il partito nelle ultime elezioni, venendo regolarmente sconfitta da Barack Obama. Tant’è vero che Trump era osteggiato da molti esponenti del suo stesso partito, che non si riconoscevano minimante in lui, che pure aveva trionfato alle primarie, sbaragliando uno dopo l’altro i candidati “ufficiali”.

In campagna elettorale era dunque un uomo solo contro tutti, senza l’appoggio di pezzi importanti dei Repubblicani (primi fra tutti gli stessi Bush), contro la possente macchina da propaganda dei Clinton, ben organizzata e finanziata a piene mani da larga parte di Wall Street, che parteggiava apertamente per la candidata democratica. Come pure il potente sistema mediatico americano, che ha sempre snobbato quando non apertamente osteggiato Trump fin dagli esordi. Tutti contro il miliardario improvvisatosi candidato, senza esperienza, senza aver ricoperto incarichi pubblici, senza alcuna conoscenza della macchina amministrativa, senza uno straccio di programma credibile, visto che le sue dichiarazioni e i suoi interventi erano tutto e il contrario di tutto, un misto di invettive, slogan, insulti e, soprattutto, una marea di balle colossali, senza freni. Qualunque considerazione razionale, o anche solo una parvenza di buon senso, avrebbero dovuto tenere gli elettori alla larga da un candidato così, infatti non a caso, pur fra alti e bassi, i sondaggi indicavano una vittoria della Clinton, percepita se non altro come il minore dei mali, appoggiata anche da intellettuali, star di Hollywood, personaggi dello spettacolo, leader di opinione.

Tutti per la Clinton, o perlomeno tutti contro Trump. Tutti, tranne qualcosa di sempre più informe, sfuggente, incompreso e incomprensibile: la gente. Si badi bene: non le persone, individui singoli e senzienti, ma una massa informe di individui guidati da sentimenti forti e irrazionali, paura, odio, insicurezza, che si vedono ignorati, schiacciati e impoveriti da un sistema di potere globale pervasivo, in grado di influenzare la politica tradizionale con un’azione di lobby assai più efficace del voto degli elettori. Ed ecco la sensazione crescente del “tanto sono tutti uguali”, senza differenze fra destra e sinistra, Repubblicani e Democratici, Popolari o Socialisti: distinzioni che perdono progressivamente senso agli occhi di una nuova categoria di elettori ormai a loro volta globali, una “maggioranza silenziosa” che nel segreto dell’urna sfoga i propri malumori e le pulsioni più bieche ogni volta che trova un candidato che si professa anti-sistema, anti-casta, anti-globalizzazione, anti-tutto, e che urla abbastanza forte da sembrare in grado di contrastare lo strapotere da cui si sentono oppressi. E poco importa se si tratta di un miliardario reazionario e razzista che appartiene alla stessa casta degli oppressori e ne ha sempre condiviso metodi, strategie e anche lo stile di vita. L’importante è che sembri diverso, in grado di invertire un senso di marcia che pare inevitabilmente indirizzato al ribasso.

Un’illusione, naturalmente. Alla prova dei fatti questo genere di “cura” si rivela peggio del male che pretendeva di combattere, incancrenisce i problemi anziché risolverli, peggiora le condizioni di vita proprio a partire dal basso, cioè da coloro che li hanno votati come panacea di tutti i mali. Ben gli sta, verrebbe cinicamente da dire. Così imparano a farsi guidare dall’ignoranza, dalla mancanza di raziocinio e buonsenso, preda di sentimenti di bassa lega. Ma la verità è che grandi colpe ha anche la politica tradizionale, incapace di ascolto e risposte verso questa massa crescente di diseredati, esclusi, impoveriti veri o presunti che si allarga a macchia d’olio. Una responsabilità pesante, ancor più per la Sinistra, che di queste masse (una volta si diceva popolo) dovrebbe essere l’interlocutore di riferimento.

Invece non lo è più. Non lo è la Clinton, vista non senza ragione come parte dell’establishment, non lo è nemmeno Obama, che nonostante una presidenza tutto sommato valida non è riuscito a passare con successo il testimone, non lo sono nemmeno gli omologhi europei, incapaci di costruire un’Unione che vada oltre alle ottusità burocratiche e agli imperativi economici per occuparsi nuovamente del benessere delle persone.

È per questo che crescono e trionfano i populismi, le demagogie, i nazionalismi e i relativi leader, individui chiassosi e impreparati, impastati di slogan e ammiccamenti alla parte peggiore di noi, alle nostre rabbie e paure. Oggi, questo tipo di “politica” (che non ha nulla a che vedere con la nobile accezione di polis, intesa come governo della comunità) è arrivata a trionfare dove sembrava impossibile, negli Stati Uniti d’America, il Paese tuttora più potente del pianeta, la cosiddetta più grande democrazia del mondo. Sarà una svolta epocale, paventata da molti perché potenzialmente deleteria, quasi distruttiva. Non ci riferiamo alla minaccia nucleare, che ci auguriamo remota anche se purtroppo ben presente, ma a tutta una serie di politiche e provvedimenti preannunciati da Trump che, se messi in atto, rischiano di determinare una svolta estremamente pericolosa non solo per gli Stati Uniti, ma per tutto il mondo, vista l’influenza globale degli Usa.

Avremo tempo per analizzare nel dettaglio queste cose, man mano che il presidente Trump metterà in campo la sua squadra e le sue azioni. Per il momento ci limitiamo alla classica chiusura utilizzata dai politici statunitensi: God bless America, Dio benedica l’America. Ce n’è bisogno, e non solo per loro.

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