Il teorema di Barstow non vale solo negli Stati Uniti

Un amico, che si spaccia per profondo conoscitore degli Stati Uniti, mi ha spiegato che non si può conoscere quella grande nazione se non si passa da Barstow, una località nel deserto della California, esattamente a metà strada tra Los Angeles e Las Vegas, tra il mito del cinema e le luci della ribalta del gioco che inganna.

Come ben sappiamo, la California è uno dei luoghi più “aperti” nel panorama nord-americano. Tutti abbiamo in mente le sue eccellenze, dal cinema alla moderna tecnologia, ai miti di San Francisco, ai verdi parchi delle sequoie, e così via.., ma poco alle spalle della splendida costa, c’è il deserto. La maggior parte della popolazione costiera degli USA (sia ad Est che ad Ovest) è democratica (anche se non più convintamente come un tempo), ma al centro ci sono i deserti e i repubblicani. Il mio interlocutore, giunto a Barstow all’ora di pranzo di una qualunque giornata estiva piena di sole, appena sceso dall’auto con l’aria condizionata, boccheggiando verso l’unico locale aperto (non lo era neanche la chiesa), ritenne di capire la Merica entrando a mangiare un boccone in quel KFC (Kentucky Fried Chicken), catena di “fast food” a base di pollo, là molto diffusa.

In quella landa desolata, alle persone che non si vedevano perché nascoste nel fresco (se riuscivano a crearlo artificialmente) o chissà dove sistemate, o chissà come lavorando in quella calura, con tutto il doveroso rispetto per loro, cosa gliene poteva importare di Kennedy, Woody Allen, di Obama o della Clinton, dei diritti delle minoranze e del sistema sanitario per i poveri, dell’ecologia che, addirittura, distrugge posti di lavoro, o altro del genere? La loro lingua capiva parole come protezionismo e dazi, meno tasse, lasciateci le armi, … e poi, con chi si poteva discutere, con tutto quel caldo che nascondeva la gente? Meno male che ci sono i “social media”, così si discute senza parlarci.

Nel centro degli US vincono i repubblicani, perché i democratici non urlano più nel deserto. Ma sono tanti i deserti in cui i progressisti non parlano più, anche in Europa: dal Manzanarre al Reno e dalle Alpi alla Sicilia.

Per parlare, tranne che davanti ad uno specchio per vedere che effetto che fa, occorrono almeno due condizioni essenziali: avere delle idee da comunicare ed avere qualcuno che ci ascolta.

Per quanto riguarda le idee, la cultura riformista ha quasi sempre fatto fatica a comunicarle: concetti come libertà, eguaglianza/democrazia, fraternità, solidarietà, ecc. sono sempre state difficili da illustrare, ed oggi lo sono ancora di più, in un mondo in cui le risorse scendono e i bisogni, e i bisognosi, crescono (e i ricchi continuano ad arricchirsi). Inoltre, per sostenerle occorre avere credibilità, oltre che argomentazioni. Bergoglio ha credibilità ed argomentazioni. Chi altri, in Occidente, ha uguali caratteristiche? Le classi dirigenti, non solo politiche, appaiono invece, purtroppo, piuttosto deboli sia di credibilità che di capacità di argomentare, convincere, ed anche di educare.

Ammesso, invece, che queste capacità e credibilità esistano: dove si potrebbe parlare con le persone? I circoli di partito, sostanzialmente, non esistono più; i luoghi tradizionali di aggregazione (dalle pro loco alle parrocchie) fanno fatica a trovare chi li frequenti; i sindacati che ruolo hanno oggi? fanno ancora cultura? La stessa scuola, salve rare eccezioni, fatica a veicolare progetti che vadano oltre i tradizionali programmi. Tutti problemi che i “populisti semplificatori” non hanno: pochi slogan urlati, non importa se ben confusi.

Quindi, per confutare il “teorema di Barstow”, che vorrebbe dimostrare che, nel deserto del silenzio delle idee, vincono sempre i populismi, ai riformisti (le cui posizioni consideriamo valide) occorrono credibilità (cioè coerenza tra parole ed azioni) e la capacità di scoprire e riscoprire luoghi di comunicazione che non siano solo virtuali.

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