Svolta americana, reagire con le idee non con le cassandre

Sulla controversa figura del nuovo presidente americano non si può che sospendere il giudizio in attesa di capire quali scelte concrete adotterà (qualcuna già si vede e sembra andare in direzione dello stop ai trattati commerciali internazionali come Tpp e Ttip, ed è un’ottima scelta per la democrazia; qualcun’altra, come l’aver riservato a Nigel Farage il primo incontro con un politico europeo, basta da sola a far tremare le fondamenta dell’Unione Europea). Nel contempo va ribadita la ferma condanna di quei toni, talora profondamente incivili ed offensivi, che Trump ha usato durante la sua campagna elettorale, di cui si deve solo vergognare.

Con altrettanta chiarezza va mostrata la intrinseca mancanza di credibilità di certe analisi riguardanti il tycoon newyorkese. Come quella elaborata sin dall’inizio delle primarie nel maggio scorso dall’ideologo neoconservatore Robert Kagan, e rilanciata dopo l’esito delle elezioni, per il quale «il fascismo arriva in America. Non con gli stivali ed i saluti (…), ma con un imbonitore televisivo, un miliardario fasullo, un caso da manuale di egomania che sfrutta risentimenti e paure popolari». Forse è anche azzeccata la descrizione di “the Donald” come una sorta di Berlusconi all’ennesima potenza. Peccato che a farla sia uno dei maggiori rappresentanti dei neocon, il movimento ideologico che ha plasmato (e forse radicalmente alterato sull’onda emotiva dell’11 settembre) la strategia di George Bush e tanto ha contribuito a motivarne le guerre. É lo stesso pensatore che esaltava le “virtù” belliciste degli americani che vengono da Marte, a differenza della “vecchia Europa” che viene da Venere, quando quest’ultima si mostrava riottosa a ritagliarsi la sua parte di “gloria” nel mattatoio iracheno. Tra i fondatori del think tank neocons Pnac, Project for a New American Century, quello che già nel 2000 preconizzò «un evento traumatico catalizzatore, una Nuova Pearl Harbor», capace di impegnare militarmente gli Stati Uniti per i quindici anni successivi nella distruzione e nella destabilizzazione di interi Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Per la cronaca va osservato che il quasi Nobel per la pace in questione è coniugato con una politica di spicco dell’amministrazione Obama, la vice segretaria al Dipartimento di Stato per l’Europa, Victoria Nuland, quella del “f*** the EU” per intenderci, che tanto si è prodigata a promuovere la “rivoluzione colorata” dell’Ucraina, investendo cifre astronomiche – si parla di 5 miliardi di Dollari – per la destabilizzazione di quel Paese e per l’innesco cruento, con cecchini esportati all’uopo, della guerra civile.

Un presepe di pace al quale appare assai allarmante l’intento del nuovo presidente americano di voler finalmente combattere sul serio l’Isis (nonostante i costi sostenuti sino ad oggi  per tirarlo su) ponendo fine alla guerra per procura in Siria, e di voler spazzar via le nubi da nuova guerra fredda con la Russia, anche attraverso la gravissima minaccia (alla strategia neocon di scontro frontale con Mosca) costituita dal proposito di revocare le sanzioni commerciali, che tanto inquieta i vertici dell’attuale Commissione Europea (che infatti godono di una popolarità strabiliante).

Come si vede, finché non si supererà questo contesto di menzogna avanzata e strutturale, anche un personaggio eccentrico e discutibile come Trump non faticherà a riscuotere maggiore fiducia di qualunque esponente di un’establishment occidentale così compromessa con le trame di guerra e di impoverimento della classe media, che si sono dipanate in questi ultimi decenni, preferibilmente con l’apporto fattivo e convinto di molte forze pur di carattere progressista. Gli eventi epocali in corso ci stanno presentando il conto. Ed è assai probabile che l’ondata di scontento, e di riconquista di un ruolo politico, dei ceti lavoratori sui moderni “soviet” costituiti dalle élite tecnocratiche e finanziarie, sarà assai più intensa e rapida di quanto si possa immaginare. Un effetto domino a cui anche il cattolicesimo sociale e politico si deve preparare, recuperando l’imbarazzante arretratezza che dimostra (non nelle sue genuine espressioni di base bensì nei gruppi dirigenti) rispetto al magistero sociale di Papa Francesco sui problemi chiave del nostro tempo.

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