“Rosmonda d’Inghilterra” per il Festival Donizetti
Foto Gianfranco Rota / Fondazione Donizetti.
La rara messa in scena di un’opera sfortunata.
È la storia stessa della fortuna dell’opera – si fa per dire – a parlare da sola, che ascrive e conferma Rosmonda d’Inghilterra fra le opere minori di Gaetano Donizetti. Firenze e Bergamo si sono tuttavia date un gran da fare in questi mesi per dimostrare il contrario, tentando di riscattare quest’opera, su libretto di Felice Romani, da un oblio invero non completo, perché nel 1996 l’etichetta discografica Opera Rara la registrò, con una protagonista d’eccezione quale Renée Fleming.
Dopo l’andata in scena della prima assoluta, al Teatro della Pergola di Firenze nel 1834, Donizetti aveva intenzione di mettere nuovamente mano alla partitura per una nuova edizione, che avrebbe dovuto andare in scena a Napoli nel 1837, col titolo Leonora di Guienna e sensibili modifiche, fra cui una prevista cabaletta finale per Leonora sul cadavere dell’appena pugnalata Rosmonda; espediente non nuovo a Donizetti e alla prassi esecutiva dell’opera del primo Ottocento, che non trovava per niente bizzarro che una prima donna, anche dinanzi alle situazioni più tragiche, si mettesse a gorgheggiare (come già avvenuto in Lucrezia Borgia). L’edizione napoletana non andò però mai in scena e Rosmonda d’Inghilterra venne per di più eclissata dal successo riscosso da Lucia di Lammermoor, andata in scena a Napoli nel 1935, questa sì destinata a divenire quel capolavoro a tutti ben noto.
Di Rosmonda d’Inghilterra si finisce per ricordare ciò che già si apprezzava della partitura: la sua aria più famosa, “Perché non ho del vento”, affidata alla protagonista e poi utilizzata nella versione francese di Lucia di Lammermoor come aria di ingresso di Lucia in sostituzione di “Regnava nel silenzio”; e il finale, indubbiamente originale, perché dopo che la vendetta di Leonora si è consumata con l’assassinio della rivale Rosmonda, rea di amare il di lei infedele marito Enrico, re d’Inghilterra, l’opera si conclude all’improvviso, nel silenzio di un dolore muto e attonito. Tutto questo non basta a dare all’opera quella valenza di importanza che non riesce ad assumere all’interno di un catalogo donizettiano che vanta nella sua ricca collana di titoli ben altre perle compositive. Oggi, tuttavia, a poco più che un mese di distanza, l’Opera di Firenze in forma di concerto e poi il Festival Donizetti di Bergamo in versione scenica, hanno provato a risollevarne le sorti con due esecuzioni degne di nota. Pressoché uguale il cast vocale, con il valore aggiunto, per l’esecuzione concertante fiorentina, del tenore americano Michael Spyres nella parte di Enrico, scritta per il mitico Gilbert Duprez, colui che passò alla storia per aver inventato il do di petto. A Bergamo, invece, c’era l’insufficiente e pallido Dario Schmunck, al quale si può solo riconoscere buona volontà e nulla più. Migliori certamente gli altri. A partite da Eva Mei, forse non adattissima alla vocalità della regina Leonora, che richiederebbe maggiore calore sonoro nei centri e un più spiccato accento drammatico. Ma la Mei è cantante di classe e domina comunque la parte con sensibile musicalità. Le stesse qualità vanno riconosciute al basso Nicola Ulivieri, Clifford, e alla bravissima Raffaella Lupinacci, mezzosoprano nei panni en travesti di Arturo. Su tutti spicca la protagonista, Rosmonda, il soprano Jessica Pratt, vera stella di questa produzione, confermatasi belcantista a tutto tondo, ardita nelle puntature acute più coraggiose e spericolate, come in possesso di tutte le credenziali proprie ad una grande virtuosa, a partire dai trilli, che abbondano nella citata aria di ingresso e che la Pratt esegue come poche cantanti sanno oggi fare. A lei quindi va il merito vocale maggiore per il ritorno sulle scene di un’opera che Sebastiano Rolli, alla guida dell’Orchestra Donizetti Opera, dirige con estremo equilibro e senso dello stile.
Meglio sorvolare sul mediocre allestimento di Paola Rota, con scene e luci di Nicolas Bovey e costumi di Massimo Cantini Parrini, così povero di elementi scenici e di idee registiche che quasi ha fatto rimpiangere l’edizione ascoltata a Firenze in forma di concerto. Ma compito di un Festival, come appunto quello Donizetti a Bergamo, è la messa in scena di opere, anche di rilievo minore come questa, ed ha ben fatto il direttore artistico Francesco Micheli a rispolverarla per una Festival che dopo il felice esito di Olivo e Pasquale si è chiuso con successo e con l’anticipo del cartellone del prossimo anno, che prevede l’andata in scena della farsa per musica di Simon Mayr Che originali! in accoppiata col Pigmalione di Donizetti e del melodramma giocoso Il borgomastro di Saardam di Donizetti. Appuntamento, dunque, dal 22 novembre al 3 dicembre 2017.
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