Lavoro e futuro per Capo Verde. La testimonianza missionaria di p.Fasano
Oltre cinquant’anni spesi in terra di missione. Sono quelli che padre Ottavio Fasano ha dedicato alla sua terra d’adozione, Capo Verde, piccolo arcipelago situato nell’Atlantico, al largo delle coste del Senegal. Un fardello di fatiche, gioie, ricordi ed emozioni che padre Ottavio porta con leggerezza, nonostante i suoi ottanta anni compiuti da poco, conservando lo stesso entusiasmo e lo stesso impegno profusi lungo tutto questo lungo arco di tempo.
La sua avventura umana e spirituale comincia nel 1965, quando il Padre Superiore dei frati Cappuccini (presenti a Capo Verde fin dal 1947) gli propone l’incarico in missione, per migliorare l’attività di coordinamento con la “casa madre” in Italia. Nello stesso anno raggiunge in nave Lisbona, dove soggiorna per un certo periodo per apprendere il portoghese, lingua ufficiale dell’arcipelago. Poi un volo in quadrimotore fino a Sal, da qui a Praia, dove attende una settimana per potersi imbarcare verso l’isola di Fogo, la meta finale, che allora non aveva nemmeno un porto, e per raggiungerla occorreva trasbordare avventurosamente dalla nave alle piccole imbarcazioni dei pescatori locali, per poi approdare finalmente sulle nere spiagge di origine vulcanica dell’isola.
All’epoca Capo Verde era ancora una colonia portoghese. La povertà era estrema, la mortalità infantile elevatissima. “Fin da subito –dice padre Ottavio- ho avvertito la forte determinazione a dedicare la mia vita a quella gente, con il servizio ecclesiale e cercando di creare opportunità di lavoro. Perché bisogna mettere il lavoro al centro, come ci ha ribadito papa Francesco nella Laudato sì: «…aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per far fronte alle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro». Dunque, la mia azione è sempre proseguita sul doppio binario dell’Annuncio e del servizio per offrire lavoro e futuro.”
Una missione portata avanti con determinazione e “con l’aiuto di molti –prosegue padre Ottavio- perché fare “missione” oggi significa lavorare anche con i laici, una Chiesa-comunità che si muove insieme, sul modello della “chiesa in uscita” esplicitata da Francesco. Ecco allora l’esigenza di coinvolgere amici nell’aiuto, per coniugare la fede con la risoluzione dei problemi quotidiani di sopravvivenza, generare sviluppo con l’annuncio e la valorizzazione della comunità. Un’esperienza intensa, che mi ha cambiato la vita profondamente, come uomo, credente e sacerdote.”
Molti i programmi progressivamente messi in atto. Il primo è stato l’istituzione degli asili, un progetto che crea una continuità intergenerazionale atta a cementare la comunità anno dopo anno. Fornisce lavoro direttamente, per maestre, cuoche e personale di servizio, e indirettamente, perché solleva le famiglie dalla cura della prole, consentendo loro di avere più tempo da dedicare ad altre attività. Poi sono venute la fabbrica della pasta, tre falegnamerie, fino alla costruzione dell’ospedale San Francesco, edificato, attrezzato, avviato e infine donato al governo, dopo aver curato la formazione del personale locale e continuando a supervisionarlo e supportarlo grazie all’apporto di volontari italiani. Oggi è amministrativamente statale ed è oggetto di un importante ampliamento gestito dalla cooperazione austriaca, ma gli isolani continuano a vederlo come “l’ospedale di Padre Ottavio”, come se l’avesse costruito lui, “invece mi hanno aiutato in molti –ci tiene a sottolineare- io ne ho solo avvertito la necessità dopo aver visto morire una partoriente in aeroporto, mentre aspettava l’aereo che la portasse nell’ospedale della capitale, perché qui non c’erano strutture idonee. Oggi vi vengono praticati molti parti cesarei, e in generale serve un bacino di 50.000 persone.”
Successivamente sono state edificate le “Case del Sole”, un residence “pensato –ci spiega- per ospitare i nostri sostenitori, per invitarli a vedere come le loro donazioni si concretizzassero in progetti, e per attuare una forma di turismo sostenibile e solidale, che ancora una volta creasse lavoro e portasse introiti per sostenere gli alti costi di gestione dell’ospedale, sito a poca distanza.” Con il prezioso apporto di esperti viticoltori, è stata poi creata l’azienda vitivinicola “Maria Chaves”, con la vigna impiantata sui fertili pendii di terra vulcanica e accanto lo stabilimento di distillazione, che produce un vino destinato in buona parte all’esportazione, i cui ricavi garantiscono sostenibilità al progetto. E ancora, una casa per l’accoglienza delle ragazze-madri coi loro bambini, programmi di istruzione dei ragazzi presso istituti alberghieri italiani e molto altro.
Ma come proseguirà tutto questo, quando padre Ottavio deciderà di concedersi il meritato “riposo”? “una preoccupazione saggia –evidenzia il diretto interessato- che mi sono posto da tempo, pensando spesso al riposo eterno. Vedo che ormai la vigna e la cantina che abbiamo messo in piedi camminano con le loro gambe, come tutti gli altri progetti, per i quali mi limito a funzioni di indirizzo. Abbiamo già contatti con la comunità di Papa Giovanni e, naturalmente, ci sono i miei confratelli. Ciò che ritengo importante però è continuare a dare priorità ai progetti, poi gli aiuti arriveranno, vedendo la concretezza. Ma soprattutto, ho fiducia nella fedeltà di Dio: non dimentichiamo che esiste la Provvidenza.”
[A Capo Verde i Cappuccini gestiscono vari progetti: adozioni a distanza per i bambini degli asili, casa famiglia per ragazze-madri a Santa Cruz, vigna Maria Chaves e cantina annessa, il residence Case del Sole, il sostegno all’ospedale San Francesco e altro ancora attraverso la Onlus Amses, tel 0172 61386, www.amses.it ]
Lascia un commento