Dal referendum una forte domanda di cambiamento da ascoltare
Il Sovrano, il popolo italiano, ha bocciato la riforma costituzionale del governo Renzi. Lo ha fatto con una partecipazione al voto superiore alle più ottimistiche previsioni, che rende il responso ancora più forte e vincolante politicamente. Un risultato che non solo non blocca la via per una riforma delle regole della nostra democrazia che sia finalmente condivisa, ma che ne crea i presupposti.
Si possono fare subito diverse considerazioni sull’esito del voto.
La prima attiene al madornale errore di metodo compiuto dal presidente Renzi nell’immaginare che una riforma costituzionale potesse essere ridotta a materia di governo, anziché venire considerata, come si sarebbe dovuto fare, tema che coinvolge tutti. Da qui è nata quella personalizzazione che ha contribuito a rendere più ampio il successo dei No. Eppure anche solo una superficiale analisi della geografia elettorale del Paese avrebbe dovuto consigliare al gruppo dirigente del Pd maggiore cautela. Non solo perché, essendo il sistema tripolare, sulla carta aveva circa il 60% dell’elettorato contro, ma anche perché, come osservai a suo tempo in occasione del referendum sulle trivelle della scorsa primavera (quando i sondaggi sul referendum costituzionale davano i Sì vicini al 70%), per far approvare la sua riforma Renzi avrebbe dovuto superare un’asticella di 13 milioni di voti che si erano espressi per la fine delle trivellazioni, una asticella di 3 milioni di voti più alta del miglior risultato del Pd a guida Renzi, quello delle europee 2014.
La seconda considerazione riguarda il merito della riforma, il cui impianto si è rivelato debole, disorganico quando non contraddittorio e pasticciato, in molti punti peggiorativo dell’esistente, accanto a punti su cui si registra un ampio consenso (a partire dall’obiettivo del superamento dell’attuale bicameralismo perfetto), che andranno senz’altro ripresi in futuro.
La terza, e, a mio parere decisiva, osservazione riguarda il modo in cui questo pacchetto di riforme costituzionali è stato presentato: decisamente fuori misura e lontano dalla sensibilità del comune cittadino, creando un’attesa da giorno del giudizio che come un boomerang si è tramutata in giudizio sul governo. La gente, intesa soprattutto come la classe media lavoratrice impoverita dalle politiche di una irriconoscibile Europa a trazione neoliberista, mediamente ha percepito l’enfasi sulle riforme costituzionali come un incomprensibile diversivo rispetto alle vere emergenze del Paese che percepisce (il lavoro, il welfare, la difesa da terremoti e alluvioni, le migrazioni e la pace) e con questo voto ha inteso lanciare una profonda domanda di cambiamento, di cui anche i vertici delle istituzioni europee ed i governanti tedeschi non potranno non tenere conto soprattutto per il fatto che il responso referendario suona come un grande no all’austerità. Paradossalmente, l’esito del referendum ha fatto sì che andremo in Europa con un governo debole a rappresentare una posizione mai così forte da dopo le dimissioni del Presidente del Consiglio.
Nelle urne si è avuta una spaccatura assai più contenuta di quella che lasciava presagire il clima della campagna elettorale, essendosi verificata una larga prevalenza dei contrari alla riforma. Tuttavia le lacerazioni andranno sanate, lo sconforto di chi ha sostenuto con passione le ragioni della riforma, andrà riconosciuto e tramutato in una nuova energia per migliorare il Paese, in un nuovo percorso condiviso, a cui potranno contribuire credibilmente tutte le forze vive del Paese, soprattutto quelle che hanno scelto in questi mesi di privilegiare l’impegno per la partecipazione, la conoscenza e il discernimento rispetto ad una avventata scelta di schieramento.
Dopo una così ampia prova di sovranità popolare e richiesta di cambiamento e di svolta nelle politiche economiche e sociali, viene difficile immaginare una prospettiva di continuazione della legislatura che vada oltre lo stretto necessario (approvazione della legge di bilancio e nuova legge elettorale). Meno che mai è riproponibile anche solo l’ombra di un nuovo governo tecnico. A questo chiaro pronunciamento del popolo si deve rispondere in un solo modo: nuove elezioni politiche nel più breve tempo possibile. E impegnarsi a costruire sin d’ora ipotesi di governo che coniughino le ragioni delle culture riformatrici con quelle di una profonda discontinuità da certe politiche economiche, monetarie, internazionali che sono la causa delle attuali difficoltà in cui si trova la maggioranza della popolazione.
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