A PROPOSITO DI CHIESA E POLITICA
Faccio riferimento al Concilio, che rappresenta un sicuro punto di riferimento circa la concezione della Chiesa, il suo rapporto col mondo e, segnatamente, la relazione tra Chiesa, territorio e comunità politica. Nella riflessione conciliare circa la Chiesa, centrale è la teologia della Chiesa particolare. Sappiamo bene la distinzione tra Chiesa particolare e Chiesa universale. La Chiesa non è un’organizzazione internazionale che ha in Roma la sua centrale ideologica e la sua direzione strategica e che semplicemente si dota di terminali operativi in periferia. Essa si invera, si realizza e vive dentro una concreta porzione di umanità, dentro una precisa comunità di persone. Essa è comunità di credenti in Gesù Cristo che, raccolti intorno al loro pastore, si alimentano alla Parola, celebrano l’Eucaristia, testimoniano la carità. Dunque, è una comunità territorialmente situata e identificabile, ma – qui sta il punto decisivo che mi preme chiarire – è appunto Chiesa, cioè “popolo di Dio”, per evocare un’altra espressione cardine dell’ecclesiologia conciliare.
Parlando di Chiesa, prima di tutto ci riferiamo a un popolo, non a un territorio. Facciamo riferimento a persone, famiglie, comunità. Alla Chiesa sta a cuore la sorte delle persone. Essa partecipa intimamente della loro condizione (vedi proemio “Gaudium et spes”) e si preoccupa del loro destino umano ed eterno. Non si pone dunque sul piano della retorica localistica e dell’ideologia del territorio. Anzi: ne corregge le angustie e le chiusure, perché mette piuttosto l’accento sull’universale umano, e stimola ad allargare nel tempo e nello spazio gli orizzonti delle persone e del bene comune.
La Chiesa è popolo ma, più specificamente, popolo di Dio. Cioè fedele a Lui e alla sua Parola. La Chiesa non insegue gli umori del popolo. Non è interessata al consenso. Quando è necessario, anzi, sfida l’opinione corrente e si propone come “comunità alternativa”, imperniata su quei valori di accoglienza, fraternità, gratuità e perdono che vanno in ontrotendenza nella cultura di oggi. Essa non ha esitazione a bonificare e purificare il senso comune, a sfidare le facili riduzioni del Vangelo a tradizione umana. Si tratta di praticare la doppia legge dell’immanenza e della trascendenza da sempre presente nella teoria e nella pratica dei cristiani, e di cui ci parla, dalle origini del cristianesimo un testo quale la lettera A Diogneto, manifesto insuperato e insuperabile della tradizione cattolica; là si proclamano la “compagnia” dei battezzati con gli uomini e, insieme, la “differenza cristiana”, la cosiddetta cittadinanza paradossale dei cristiani.
Su queste basi si comprende la distinzione e, talora, la distanza della Chiesa rispetto alle parti politiche. Dentro le situazioni, la Chiesa è al di sopra delle parti o comunque si pone su un altro piano. Come ammoniva Sturzo, la politica è il regno di una ben intesa parzialità (cioè della competizione e del confronto democratico tra legittimi punti di vista di parte), la religione è il regno dell’universalità. Una tale alterità del punto di vista della Chiesa non significa estraneità o indifferenza. E neppure ossessione paralizzante e magari pavida per una malintesa equidistanza. Quella di chi si preoccupa di non scontentare, di non turbare nessuno, specie se questi dispone di potere. A maggior ragione, quando le ideologie politiche si fanno religione, quando avanzano pretese totalizzanti e magari si propongono di fare concorrenza alla Chiesa stessa, di delegittimarla e di prenderne il posto come più genuina espressione del popolo, la Chiesa non si sottrae al dovere della franca presa di distanze, della denuncia critica e profetica.
Di tale alterità della Chiesa e del compito che essa si accolla di bonificare, integrare e correggere la ragion politica e i suoi riduzionismi (o i suoi assolutismi) troviamo traccia chiarissima nel magistero di Papa Benedetto. Faccio riferimento in particolare alla sua prima enciclica “Deus caritas est”, ai par. 28-29. In quel testo, in continuità con le distinzioni conciliari, si rinviene una bussola sicura per orientarci anche dentro i problemi e, perché tacerlo, le tensioni presenti.
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