Legge elettorale e qualità della classe politica

La Corte Costituzionale, nei giorni scorsi, si è pronunciata sulla legge elettorale della Camera dei Deputati, mantenendo il premio di maggioranza, abolendo il ballottaggio e anche con altre precisazioni; in questo modo, almeno, è stata fatta chiarezza sulla normativa vigente. Tra le forze politiche si è perciò alzato il livello di discussione sulla necessità o meno di andare ad elezioni politiche (anticipate?) con questa legge (cioè con quella corretta dall’ Alta Corte) o con una nuova. Il governo ha rimandato la questione al Parlamento (giustamente il compito di legiferare “spetterebbe” al Parlamento) e il Presidente della Repubblica ha correttamente auspicato che, su questo argomento, si trovi un’ampia convergenza. Vedremo cosa succederà.

Per quanto mi riguarda, mi sono appassionato solo due volte sul tema di quale possa essere la miglior legge elettorale per il nostro Paese, in quanto, nel mondo, esistono Stati ben condotti, i cui governanti sono scelti con le più svariate modalità: proporzionale con o senza sbarramento, maggioritario, candidati in collegi uninominali più o meno ampi, ballottaggio, premi di maggioranza, ed altri ancora,… Quindi non è (solo) la modalità di elezione dei parlamentari a determinare la buona gestione di una nazione, ma lo sono soprattutto il livello di coscienza civica, ad ampio spettro, di tutta la sua popolazione, la validità delle sue istituzioni e la qualità della sua classe dirigente: infatti nessuna modalità elettiva può rendere “capaci” amministratori pubblici scarsi.

A suo tempo, mi sembrò un passo avanti la creazione dei collegi elettorali uninominali, penso a metà degli anni ’90 del secolo scorso: poteva essere così un modo di avvicinare gli eletti ai loro elettori, che, in questo modo, potevano dare un nome e un cognome al loro rappresentante più diretto e, conseguentemente, chiedergli facilmente un resoconto del suo operato. Ma questo sistema, teoricamente molto funzionale, indipendentemente dal fatto che potesse o no portare a maggioranze precarie e potesse non adeguatamente tutelare le minoranze (nonostante esistesse anche una piccola quota proporzionale che favoriva chi non era adeguatamente rappresentato dai risultati dei collegi) aveva almeno due limiti. I collegi, soprattutto quelli senatoriali, erano molto ampi e non favorivano il contatto diretto eletto/elettore e, non essendo ancora state introdotte forme di “primarie”, la selezione dei candidati era lasciata ai partiti, purtroppo col metodo del “bilancino”, che imponevano talvolta persone estranee al territorio che sarebbero andate a rappresentare (e certe volte andava anche peggio,…), inoltre non tutti, una volta arrivati al Parlamento, mantenevano i legami col collegio; ma questa modalità era senz’altro preferibile rispetto alla lista di “nominati” che di lì a poco sarebbe seguita: almeno nei territori di “avanzata democrazia”, con quel sistema, i candidati improponibili potevano essere bocciati, indipendentemente dalla lista/coalizione che li presentava.

Ma la mia vera passione elettorale, ancora prima, fu quella per l’abolizione della preferenza multipla nel proporzionale per la Camera: attenzione, per l’abolizione della preferenza “multipla”, non della preferenza in senso lato. Bisognerebbe ripescare il film “Il portaborse”, interpretato da un Nanni Moretti molto efficace, come spesso gli accade quando è diretto da altri. In quella denuncia del sistema politico della cosiddetta “Prima Repubblica”, c’era anche quella delle preferenze multiple “guidate”: a seconda dei seggi, a seconda degli abbinamenti numerici (allora era possibile scrivere i soli numeri di lista, al posto del cognome) o della successione dei numeri nelle terne, a seconda dei seggi,… il voto era facilmente controllabile (e pilotabile). Invece la preferenza “secca”, indicata col cognome, sembrava una maggior garanzia di scelte più consapevoli ed indipendenti; inoltre l’ampiezza delle liste consentiva l’inserimento anche di candidati “civetta”, non proprio omologati alle dirigenze dei partiti e, in questo modo, talvolta uno sconosciuto Davide poteva battere i più blasonati Golia di turno. L’abolizione della preferenza, a vantaggio della “nomina”, cioè in base alla posizione ottenuta nella lista (chi aveva la “grazia” di essere “più in alto” aveva più possibilità di arrivare all’elezione), riportò, purtroppo, la scelta degli “eletti probabili” ai più o meno oscuri salotti buoni o ai cucinini cattivi della politica di capi e capetti, più o meno diretti da nascosti burattinai, piuttosto che agli elettori. L’introduzione delle “primarie”, ove avvennero, non sanò radicalmente questo errore.

Detto questo, allo stato attuale, in tema di legge elettorale e di elezioni eventualmente anticipate, non si ravvisa l’ampia convergenza invocata da Mattarella e, si teme, perciò, che passeremo dei mesi in cui l’energia politica sarà sprecata da fittizi esercizi di architettura elettorale, invece che dagli sforzi per tentare di risolvere problemi “marginali” come scarsità di lavoro, economia in crisi, fragilità del territorio, coesione e futuro europeo, crisi internazionali,…. argomenti sicuramente meno interessanti del proporzionale puro o del premio di maggioranza,…

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