Due Occidenti: la sinistra da che parte sta?

Temo che sfuggirà la logica di molti avvenimenti in corso e che capiteranno nel corso dell’anno, se non si considerano due elementi:

1) Il 2016 con la Brexit e soprattutto con l’esito delle presidenziali americane, ha segnato una spaccatura profondissima ed insanabile all’interno delle classi dirigenti occidentali, da cui è sorto un conflitto che pare destinato ad andare avanti senza esclusione di colpi e senza possibilità di mediazione. Le élite globaliste hanno perso il pieno controllo dei destini dell’Occidente e non hanno più la forza per imporre la loro agenda di globalizzazione forzata, di finanziarizzazione dell’economia che depreda le famiglie, i lavoratori, le imprese, le nazioni; di guerre continue e di destabilizzazione di stati attraverso le rivoluzioni “colorate” e attraverso l’uso del terrorismo internazionale come arma per impedire lo sviluppo del mercato euroasiatico e per soggiogare Russia, Cina, India e Iran ad un unico centro finanziario globale. Hillary Clinton, dopo le devastazioni di Libia e Siria compiute sotto Obama, avrebbe dovuto proseguire un tale programma, un programma che i fake media, naturalmente, descrivono come “democratico”, progressista e assai politicamente corretto, tutto diritti umani e democratizzazione di regimi autoritari. Ma il popolo americano ha deciso altrimenti. A quel punto i poteri globalisti si sono riorganizzati e arroccati attorno alla cancelliera tedesca Merkel, con delle conseguenze che potrebbero essere fatali all’Unione Europea.

2) Donald Trump, che piaccia o no, è la risposta di rappresentanza che la classe media angariata e ghettizzata da decenni di politiche globaliste, ha trovato a disposizione. Poteva esser una risposta progressista, se il candidato democratico Bernie Sanders non fosse stato liquidato con i brogli dalla corsa alla Casa Bianca e se nel loro complesso le forze progressiste non avessero rinunciato alla funzione storica più propria di promuovere lo sviluppo del popolo, in favore dell’adesione al programma neoliberista. Per cui demonizzare a priori Trump, che pure ha già compiuto molti errori nei pochi giorni della sua presidenza, come vorrebbero i media, non aiuta a capire la gravità del momento e non aiuta il campo riformatore a trovare il modo di rimettersi in sintonia con la classe media e i ceti lavoratori.

Invece, in base a queste due considerazioni, si può vedere cosa stia realmente accadendo sulle due sponde dell’Atlantico. Oltre le polemiche, in gran parte strumentali ed ipocrite sui muri e sul blocco dell’immigrazione da alcuni Paesi (basti pensare che il muro col Messico è stato costruito per 1200 km da Clinton e successive amministrazioni, votato come parlamentari da Obama e Hillary Clinton, e adesso gli stessi si indignano, con motivazioni peraltro condivisibili, per i 500 km proposti dall’Amministrazione attuale: due pesi e due misure, così come i blocchi temporanei dell’immigrazione da alcuni Paesi furono già attuati dai precedenti presidenti riscuotendo addirittura consenso), ciò che sta succedendo negli Stati Uniti è il tentativo di innescare una “rivoluzione colorata” da parte dell’establishment globalista, attuata con le risorse di speculatori senza scrupoli come George Soros, al fine di soffocare e far terminare al più presto, prima della fine del mandato presidenziale, la presa del potere da parte di una fazione che non risponde né alle nomenclature repubblicane né ovviamente a quelle democratiche, ma alla classe media, capitanata da Trump per assenza di concorrenti nel rappresentare quel segmento maggioritario e sofferente di elettorato.

La cortina fumogena mediatica sui muri e sul blocco dell’immigrazione, peraltro attuato in una maniera maldestra e non concertata che ha provocato oggettivi disagi ai passeggeri ed alle compagnie aeree, ha mandato in secondo piano decisioni, prese dal nuovo inquilino della Casa Bianca, di primaria importanza per la pace mondiale, come le epurazioni al Dipartimento di Stato per estirpare il cancro dei neoconservatori dall’amministrazione statunitense, in particolare l’asportazione delle metastasi neocon dal Dipartimento di Stato, dove ideatori e complici dell’11 settembre, burattinai e sponsor del terrorismo “islamico”, creatori e finanziatori del califfato “islamico” sono stati letteralmente buttati fuori dal nuovo presidente e dal nuovo Segretario di Stato Tillerson, compresa quella Victoria Nuland, prima responsabile della destabilizzazione americana dell’Ucraina e dello scoppio della guerra civile in quel Paese.

Il rischio enorme per l’Europa è quello di arroccarsi a difesa dell’agenda mondialista e dell’interesse nazionale tedesco anziché di cogliere la sfida, anche criticandola quando è opportuno, che viene dalla classe media americana. Una strategia suicida che potrebbe essere sonoramente bocciata dalle elezioni che nel giro di un anno interesseranno Olanda, Francia, Austria, Germania e Italia. I cittadini di questi Paesi potrebbero chiedersi, ad esempio, che senso ha alimentare ancora un clima di contrapposizione con la Russia, quando invece potrebbe ritornare ad esser considerato un partner economico importante ed affidabile? Che senso avrebbe un’Europa ostile alla Russia, così come la vuole la super casta globalista, quando sta per nascere una forte alleanza strategica tra Washington e Mosca? Che senso ha l’incredibile difesa europea degli indifendibili trattati commerciali internazionali come Ttip e Ceta? Che senso ha l’austerità che sta diffondendo miseria e sfacelo sociale e depressione economica in gran parte dell’Europa, in Paesi che sarebbero opulenti se solo venissero attuate politiche economiche meno sconsiderate? Se le forze progressiste non si smarcano presto dalla linea globalista, che vuole mandare l’Ue e gli stati membri a scontrarsi frontalmente con gli Stati Uniti, e non ritornano a dare risposte alle domande che vengono dai due terzi della popolazione che si sta impoverendo, temo che il rischio di frantumare in pochi mesi quanto si è costruito in sessant’anni di storia comune europea sia più che mai reale.

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