Il debito e la dignità
Cos’è la dignità? E’ quella condizione per la quale gli esseri umani hanno rispetto di se stessi. Che fa si che la loro vita non si svolga in condizioni di abbrutimento e degrado. La dignità dà consistenza ai principi di libertà ed uguaglianza e consente di essere soggetto consapevole e non oggetto manipolabile. Il concetto di dignità, espressamente richiamato agli art. 3, 36 e 41, pervade tutta la nostra Costituzione.
Ma dov’è la dignità in una società dove si devono accettare lavori precari pagati 2 o 3 euro all’ora, dove c’è chi per sfamarsi non può permettersi altro che il più scadente cibo per cani o gli scarti abbandonati nei mercati rionali, dove la possibilità di curarsi sta divenendo una variabile dipendente dal reddito e che quindi è negata ad un numero sempre maggiore di persone? La dignità è difficile da trovare anche nelle auto che fanno da casa a chi una casa vera non se la può più permettere. O nei campi dove si ammassano profughi disperati in fuga da orrori che troppo spesso non si vogliono capire.
E il debito, cosa c’entra con la dignità? “Il debito rappresenta lo shock necessario a far diventare politicamente inevitabile tutto ciò che è socialmente inaccettabile”. Sono parole di Milton Friedman, padre del neoliberismo o, meglio sarebbe dire, del “liberismo reale”, visto che le sue teorie hanno ispirato non solo Reagan e la Thatcher, ma anche le politiche del Cile di Pinochet e di altri dittatori, dimostrando che il liberismo economico non ha necessariamente bisogno della democrazia per svilupparsi.
Ed infatti la parola debito da anni accompagna la nostra quotidianità come un rumore di fondo. E’ onnipresente nel dibattito politico economico e le politiche governative da anni hanno nel debito il fulcro della loro azione. L’obiettivo del suo contenimento, con i conseguenti vincoli di bilancio, ha imposto sacrifici crescenti a gran parte della popolazione.
Dall’asservimento politico, economico e culturale al totem del debito discendono il progressivo degrado della vita delle persone e la perdita dei diritti. L’ossessivo mantra dell’ineludibilità della sua riduzione giustifica la svendita del territorio e la speculazione immobiliare, la mercificazione dell’acqua e la distruzione della sanità pubblica, la trasformazione della scuola in azienda, l’affievolirsi dei diritti dei lavoratori. Tutti gli ambiti della vita sociale ne sono stati intaccati.
Attraverso l’alienazione del patrimonio pubblico e dei beni comuni e con la finanziarizzazione dei diritti (alla salute, all’istruzione, alla casa, al lavoro) si realizza una continua espropriazione di ricchezza, che si trasferisce dalle popolazioni alla ristretta cerchia dei detentori del capitale finanziario. Pesanti e ossessive campagne psicologico-mediatiche hanno inciso nell’immaginario collettivo, riuscendo a colpevolizzare i cittadini, quasi che la voragine nei conti pubblici l’avessero creata loro e non ben precise scelte politiche, improntate ai dogmi del mercato libero e senza freni.
Infatti, mai vengono messe in discussione le modalità di formazione del debito e quale sia la sua legittimità, né si analizza chi ne è detentore. Riflettendo, ad esempio, su aspetti come l’incidenza enorme degli interessi, sul volume delle spese per armamenti e missioni militari, sulla differenza tra piccolo risparmiatore e grandi fondi speculativi. Il debito costituisce una potentissima arma di cui dispongono le classi dominanti per consolidare il proprio potere. Un arma puntata contro i valori della democrazia, che sono sempre più a rischio di fronte a questa dittatura finanziaria.
Dove sono finiti i principi fondativi dell’Unione Europea, le cui classi dirigenti accettano tranquillamente che un governo come quello ungherese alzi muri contro i migranti e non tollerano il mancato rispetto dei vincoli di bilancio da parte di quello greco, così determinando il massacro sociale di quel popolo?
Comica, se non fosse drammatica, sarebbe la constatazione che la nostra e le altre Costituzioni democratiche dei Paesi dell’Unione Europea, scritte e deliberate da parlamenti liberamente eletti dopo la tragedia e gli insegnamenti della seconda guerra mondiale, sono messe in disparte per soddisfare vincoli di bilancio basati su parametri privi di qualsiasi fondamento scientifico (a detta di chi lo inventò, Guy Abelle economista francese che collaborò nel 1981 col primo governo di sinistra, sotto la presidenza di François Mitterrand, il rapporto del 3% deficit/Pil è “Parametro deciso in meno di un’ora, senza basi teoriche”).
Il senso comune capisce che un mondo dove il rispetto di una percentuale conta più della dignità delle persone è un mondo sbagliato. Ma in queste condizioni, con questi vincoli, con questa cultura, c’è poco spazio per la dignità. Che può tranquillamente essere calpestata, sacrificata sull’altare degli interessi dei pochi (pochissimi) a scapito dei molti. Ma dignità può essere una parola chiave contrapposta alla forza distruttiva del liberismo reale. E questo concetto è sicuramente presente, in modo più o meno esplicito, nella pluralità di movimenti che, in differenti ambiti, lottano per un diverso modello sociale. Entità quasi mai al centro dei riflettori mediatici, perché portatrici di un messaggio, analitico e mai superficiale, di critica radicale al sistema di potere dominante. Che chiaramente affermano il primato della persona umana e dell’ambiente in cui vive sull’interesse economico. E che, non a caso, trovano piena udienza solo dall’unica personalità di rilievo a livello mondiale che senza infingimenti e ipocrisie individua i mali della nostra società e i suoi responsabili, e che per combattere i quali offre soluzioni programmatiche: Papa Francesco.
E con le parole tratte dal discorso del Papa all’incontro mondiale con movimenti popolari dello scorso novembre, è bello ed importante concludere: “Ma questo mondo non consente lo sviluppo dell’essere umano nella sua integralità, lo sviluppo che non si riduce al consumo, che non si riduce al benessere di pochi, che include tutti i popoli e le persone nella pienezza della loro dignità, godendo fraternamente la meraviglia del creato. Questo è lo sviluppo di cui abbiamo bisogno: umano, integrale, rispettoso del creato, di questa casa comune”.
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