Il trionfo di Anna Netrebko ne “La traviata”

 

L’opera di Verdi al Teatro alla Scala con grandi voci e la direzione di Nello Santi.

Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala.

Quando la Scala non mira a “globalizzarsi” cercando quella qualità standardizzata che la renda uguale a tutti gli altri grandi teatri al mondo, ma all’opposto cerca, nel rispetto della propria tradizione, di eseguire il repertorio italiano come talvolta solo lei sa fare, ecco che nascono serate magiche come quella di cui ci si appresta a riferire.

La magia non è solamente esecutiva, ma estendibile all’atmosfera che si respira all’interno del teatro, soprattutto in gallerie e loggione che in certe occasioni attirano schiere di appassionati e “vociomani” che giungono da ogni dove (pronti anche ad affrontare la fatica di intere giornate di coda pur di accaparrarsi un posto) per ammirare ciò che all’opera – per quanto ci si ostini a pensare il contrario, vuoi per il fastidioso prevaricare del teatro di regia, vuoi per carenza di grandi voci che siano autentiche personalità in grado di calamitare su di sé l’attenzione – gran parte del pubblico chiede: il potere incantatorio della voce.

Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala.

È così capitato che tre delle sei recite fuori abbonamento in cartellone alla Scala per l’ennesima ripresa de La traviata nello storico e senza mezzi termini magnifico e lussuosissimo allestimento di Liliana Cavani (che speriamo archivi, e per sempre, quello orribile di Dmitri Tcherniakov) abbiano avuto nella presenza della diva Anna Netrebko un elemento catalizzatore di irresistibile attrazione. Tante erano le ragioni per essere interessati a verificare come la signora Netrebko avrebbe potuto ancora affrontare Violetta Valéry dopo aver concentrato le scelte del proprio repertorio verso ruoli decisamente più drammatici, che avrebbero indotto qualsiasi altra cantante ad abbondare una parte come questa, ma che hanno invece confermato come la vocalità del ruolo superi ogni scontato cliché vocale e si apra alle più diverse soluzioni esecutive. Non esistono insomma voci troppo leggere o troppo pesanti per affrontarla, ma un modo di ben cantare che è quello che ha dimostrato di possedere la grande cantante russa per farne, con i suoi attuali mezzi, una Violetta che sfoggia una vocalità d’altri tempi.

Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala.

Il medium prezioso, di colore caldo e vellutato, si sposa alla luminosità di un registro acuto che nel finale del primo atto non appesantisce la linea ma riesce a risolvere ad arte tutte le difficoltà del “Sempre libera”, senza cedere alle tentazioni di una coloratura liberty che l’attuale peso specifico della sua voce non le consentirebbe (né in verità mai le ha consentito), ma senza per questo scendere ad alcun compromesso. Il secondo atto la vede vincente su tutta la linea, con un duetto con Germont dove nel “Dite alla giovane” si ammira un canto sul fiato magistrale e un “Amami, Alfredo” così ricco di suono, caldo e avvolgente, da toccare le corde di una commozione davvero travolgente. 

Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala.

La capacità di ammorbidire un canto tanto denso piegandolo alla mezzavoce in un “Alfredo, Alfredo di questo core” indimenticabile, così come in un ultimo atto magistrale, intenso come non mai, quasi tragico, sono solo alcune delle caratteristiche di una Violetta che abbandona ogni fragilità per cercare nel canto, come nella fisionomia del personaggio, sensuale, carismatico e ricco di pathos, una carnosità di suono quasi inedita in tempi che ci hanno abituato a veder questo ruolo affidato a voci più liriche, se non addirittura leggere. Le riserve, se proprio le si vuole trovare ed intendere come tali, sono ascrivibili ad una espressività certo non assente per quanto messa in secondo piano rispetto ad una fluidità di canto sontuosa e bella, tale da far dimenticare qualche lieve inflessione vocale “alla russa” che qua e là si percepisce senza che questo mare di suono pastoso splendidamente brunito venga a sacrificare il rendimento di una Violetta vocalmente tanto eccezionale. 

Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala.

Le sta a fianco un Francesco Meli, Alfredo, che si conferma il miglior tenore all’”italiana” del momento, capace di fraseggiare e sfumare i suoni come pochi sanno oggi fare in questo repertorio, con una voce bellissima e solo con qualche piccolo affanno in acuto. Anche lui, come tutti per altro, sono soggetti, nel bene come nel male, all’imposizione di tempi slentati fino al parossismo da Nello Santi, anziano e glorioso direttore che ritorna dopo molti anni sul podio di un’Orchestra scaligera che suona con una tinta verdiana che nessun’altra possiede. Ed è così che anche pause e lentezze fuori ordinanza, per quanto talvolta eccessive, diventino magia quando donano a voci come queste la possibilità di bearsi di se stesse su un mantello di poetica rimembranza. 

Anche Leo Nucci, Germont, inossidabile come sempre, vince sul piano di un accento verdiano autentico, con un canto ancora controllatissimo, senza mezzi termini miracoloso se rapportato ai tanti anni di carriera sulle spalle, e regala un “Di Provenza, il mar, il suol” asciutto ed insieme sfumato, sempre umanissimo. 

Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala.

Insomma una Traviata dove trionfano le grandi voci e dove accanto ai bravi Abramo Rosalen, Marchese d’Obigny e Costantino Finucci, Barone Douphol, a Chiara Isotton, Flora e ad Alessandro Spina, splendido Dottor Grenvil, si segnala la presenza di alcuni validi solisti della Accademia di Perfezionamento per Cantanti Lirici del Teatro alla Scala: Chiara Tirotta, Annina, Oreste Cosimo, Gastone, Jérémie Schütz, Giuseppe e Gustavo Castillo, Domestico di Flora. Al termine della serata applausi trionfali per tutti e lanci di fiori per la diva Netrebko, che tornerà il prossimo 7 dicembre a Milano per inaugurare la nuova stagione della Scala con Andrea Chénier di Giordano. 

Credit Brescia/Amisano – Teatro alla Scala.

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