Un’ Unione europea a più velocità

Il vertice tra i quattro grandi dell’Unione, Italia, Francia, Spagna e Germania, tenutosi nei giorni scorsi a Versailles, vicino a Parigi, ha aperto le porte alla cosiddetta Europa a più velocità. Il quartetto, che comprende tre membri fondatori della Comunità, ritiene che il futuro dell’unità tra i diversi Paesi del vecchio continente, non potrà più giocarsi soltanto con il principio dell’unanimità, come è stato in larga parte sinora, ma seguendo un modello a geometria variabile nel quale coesisteranno diversi livelli di integrazione possibile. In pratica finirebbe in soffitta l’obbligo di procedere necessariamente tutti insieme, autentico freno per il passaggio a forme più strette di integrazione, visto che molti Stati, in particolare quelli dell’Est, sono contrari a qualsiasi passo in avanti. Con il nuovo approccio, i Paesi che lo vorranno potranno invece legarsi più strettamente tra loro.

Tutto bene dunque? Sì, ma parecchi sono ancora gli ostacoli da superare. Innanzi tutto, vi è un evidente problema di metodo. Il vertice di Versailles ha elaborato una proposta che dovrà ovviamente esser fatta propria nelle appropriate sedi istituzionali dell’Unione: Parlamento, Commissione e Consiglio dei Capi di Stato e di governo. Posto che Italia, Francia, Spagna e Germania rappresentano da sole, il 50 per cento della popolazione e il 60 per cento del Pil dell’Unione, resta comunque indispensabile coinvolgere tutti gli altri Paesi membri. L’idea di un’Unione a più velocità è stata peraltro espressamente richiamata anche dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. Un principio che, in fondo, è meno rivoluzionario di quanto appaia, visto che è già attuato da tempo, e da tutti accettato, con la duplicità esistente tra i Paesi dell’euro e quelli che ne sono fuori, pur facendo parte dell’Unione.

Molteplici i passi da compiere in direzione di una maggior integrazione. Si potrebbe cominciare da un’uniforme tassazione delle società eliminando quella dannosa concorrenza fiscale che non ha ragion d’essere tra membri della stessa comunità. Altro punto è accrescere il bilancio comune per una politica economica sovranazionale, certo più efficace di quella svolta da ogni singolo Paese. C’è poi il capitolo della difesa per giungere ad una cooperazione rafforzata con una conseguente economia di scala nelle spese militari e ad una maggior efficacia complessiva del sistema.

Le competenze da mettere a fattore comune non mancano di certo. Il vero problema sarà quello di comporre un’architettura che abbia una sua organicità. Occorre cioè immaginare una costruzione a cerchi concentrici, in cui in ciascun cerchio le competenze poste in comune lo siano secondo un ordine logico. Deleterio sarebbe invece creare un arcipelago disordinato, a macchia di leopardo, dove ciascuno prende solo quello che gli fa più comodo, scartando gli impegni più gravosi.

Primo gradino è l’euro. Pertanto solo chi ne fa parte potrà partecipare al cerchio concentrico in cui trovano logicamente spazio il bilancio europeo rafforzato o una fiscalità armonizzata. Condividere la moneta è il necessario presupposto per godere di una maggior integrazione in altri settori.

Dopo la Brexit e in presenza di una forte spinta nazionalista, effetto e non certo causa della crisi che stiamo vivendo, è arrivato il momento di passare all’azione. Serve, come è accaduto in altri momenti della storia europea altrettanto complicati, una precisa volontà politica. Per questo ci auguriamo che in Francia e in Germania prevalgano forze politiche schiettamente europeiste e che l’Italia, al voto probabilmente nel 2018, segua a ruota in questa direzione favorevole ad un’Unione più stretta. L’anno prossimo e fino alle elezioni europee del 2019, si apre una preziosa finestra di tiro per abbozzare un ritrovato processo di integrazione.

E se ci ritrovassimo con nucleo più compatto di 12-15 Paesi, pronti a fare d’avanguardia, questo non dovrà né stupire, né spaventare. Proprio da quell’avanguardia, con la forza dell’esempio, potrà derivare la spinta per i Paesi più titubanti. Unico punto realmente imprescindibile è che nel gruppo di testa ci siano i quattro grandi di Versailles. E’ su di loro che grava, in prima battuta, la forte responsabilità storica legata alla grande idea dell’unità europea.

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