Corruzione, quelle parole inascoltate pronunciate dal cardinale Martini
In un momento in cui l’onda maleodorante della corruzione – a tutti i livelli: politico, istituzionale, imprenditoriale, ma anche “di base”, come disarmo morale della società civile – sembra sommergerci, siamo andati a rileggere gli interventi che il cardinale Carlo Maria Martini dedicò all’argomento e abbiamo trovato parole profetiche e allarmi inascoltati. Non “sfoghi” qualunquisti, ma denunce precise, profetiche, con l’invito poi, soprattutto ai giovani, a impegnarsi in prima persona in politica, “forma esigente di carità”.
La prima volta che ne parlò era il 1986 e accusò i partiti di “divorzio dalle istituzioni”, alludendo a “alleanze occulte e spartizioni sotterranee” che portano a “situazioni ibride in cui i rapporti tra partiti diversi non rispondono a quanto avviene invece nelle camere oscure del Palazzo, fra menzogne e coperture”. Tre anni dopo, nel 1989, prese di petto la corruzione, che avvelena il clima “con effetti perversi”, invitando però a non generalizzare ma a individuare le responsabilità dei singoli, di chi chiede che i meccanismi vengano “oliati” e chi fa della clientela il “supporto elettorale”.
Nel 1991, in una intervista, diede una sua definizione di tangente: “E’ qualcosa di molto triste. Quando prende piede, dimostra che una società degrada nel clientelismo, che la gente perde il coraggio e la fierezza dell’onestà, che si entra in un sistema di connivenze. E molto deprimente. Fa pensare che non c’è senso civico forte, che manca fiducia nelle istituzioni. E finisce col premiare coloro che vogliono approfittarne”.
Nel 1992, poi, nella veglia nel Duomo di Monza per il Primo Maggio, inchiodò alle proprie responsabilità il ceto imprenditoriale oltre alla classe politica: “In questo momento lavorativo difficile pensiamo ai tanti sperperi di beni che avrebbero potuto diventare produttivi. E aggiunge che esistono “elementi di corruzione che intervengono a inquinare il processo degli appalti e le opportunità di lavoro per i pubblici servizi”, che “ogni episodio di corruzione dirotta al servizio di interessi privati o di gruppo beni che dovrebbero andare a vantaggio di tutti. Insomma, per Martini “si creano condizioni perverse a tutti i livelli, vere “strutture di peccato” che pesano anche su coloro che vorrebbero resistervi”; e “tutto ciò si risolve in un gravissimo danno morale e materiale, di immagini e di costi, per l’intera comunità dei cittadini onesti e laboriosi, che chiedono soltanto di lavorare per produrre beni a vantaggio di tutti”.
Che fare? “La corruzione va combattuta a tutti i livelli, affrontando coraggiosamente quei rischi da sempre connessi con la testimonianza della giustizia. Vanno per questo aiutati e sostenuti dall’opinione pubblica tutti coloro che assumono questi rischi”. E chiese a partiti e sindacati di “rinnovare l’impegno della trasparenza e dell’onestà, con capacità di radicale rinnovamento dei metodi e delle persone”.
Non si può dire che l’allarme non sia stato lanciato in tempo. Ma orecchie, menti e cuori si sono rivelati – in buona parte – chiusi, induriti.
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