Quale spazio per i cattolici in politica?
Intervento al convegno “Quale spazio per i cattolici in politica?”, organizzato da “Persona è futuro”, “Libertà e Comunità”.
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Politica “vuota” e ispirazione sturziana – Il disorientamento della sinistra – La politica subordinata alla finanza speculativa – Quale “spazio” per i cattolici – Un impegno in tre direzioni: economia e lavoro, istituzioni, pace e relazioni internazionali
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Per chi si pone nell’atteggiamento, auspicato dalla Gaudium et Spes, di “scrutare i segni dei tempi” e di cercare di “interpretarli alla luce del Vangelo” (Gaudium et Spes n.4), lo spazio per i cattolici in politica non potrà che essere corrispondente alla capacità che dimostreremo, di cogliere le sfide del tempo in cui viviamo.
È chiaro che per cogliere i nodi problematici del nostro tempo occorrono almeno due condizioni.
Bisogna che ci sia un riferimento valoriale: i valori su cui si fonda la democrazia ed i valori che costituiscono il nucleo della dottrina sociale della Chiesa.
Inoltre, occorre un riferimento e un radicamento sociale preciso, che dia sostanza agli ideali, declinandoli nel concreto. Questo riferimento sociale per il cattolicesimo sociale e politico non può che essere quello popolare. In questo modo si propone un’idea di politica non viene fatta dalle élites sulla testa delle persone, ma che è il frutto della partecipazione ed aspira al “bene comune”.
Politica “vuota” e ispirazione sturziana
Partendo da una simile premessa, a mio avviso, appare prioritario capire quale capacità di analisi e di iniziativa i cattolici sono oggi in grado di attuare, prima ancora che la questione di come ci si schiera e di come ci si organizza nei partiti, o almeno in quel che ne è rimasto, dopo la fine della “prima repubblica”. I cattolici che condividono uno stesso programma possono infatti trovarsi e organizzarsi, per motivi diversi, tanto nel Partito Democratico, quanto al centro in un nuovo partito d’ispirazione cristiana, come propone Savino Pezzotta, oppure nel centro-destra, a condizione che essi siano legati non solo da convenienze di ordine contingente ma da una strategia politica complessiva. Questa in fondo è anche la lezione che ci viene da Sturzo. Non si tratta di aspettare che tutti i cattolici si mettano d’accordo in politica. Quei cattolici che condividono un medesimo progetto possono intraprendere, sotto la loro diretta responsabilità un medesimo cammino, dandosi anche un’organizzazione adeguata. È proprio questo che più manca ai nostri giorni, quello che costituiva invece l’anima del Partito Popolare sturziano: un programma, l’indicazione di alcune priorità per cui mobilitarsi. Ma per far questo occorre saper “scrutare i segni dei tempi”, una capacità di lettura di questo particolare momento, che appare largamente deficitaria, e non solo tra i cattolici.
Nel durissimo editoriale del 3 marzo scorso del Corriere della sera sull’esperienza del partito del Popolo della Libertà, Galli della Loggia ha buon gioco nel rilevare che dai primi anni Novanta è «rimasto un vuoto che il Paese non è riuscito a colmare. Non si è affacciata sulla scena nessuna visione per l’avvenire, nessuna idea nuova, nessun’indicazione significativa, nessuna nuova energia realmente politica è scesa in campo. Niente». Questa affermazione apparirà pure eccessivamente drastica; essa tuttavia ci aiuta a riflettere sullo stato attuale della politica.
Oltre al grave ed evidente deterioramento morale della vita pubblica, in questi anni vi è stato il vuoto della politica, l’assenza di idee per il futuro: questa sembra proprio una descrizione di quanto è accaduto, ma con due importanti precisazioni da aggiungere.
Il disorientamento della sinistra
Il primo rilievo è che questo vuoto della politica ha riguardato tutti gli schieramenti. Ed a farne le spese è stata soprattutto la sinistra in quasi tutta Europa. Come da più parti ormai viene rilevato, e come si è visto benissimo nelle scorse elezioni europee e nelle elezioni politiche tedesche dello scorso settembre (con lo storico tracollo dei socialdemocratici al 23%), la crisi del neo-liberismo ha punito tendenzialmente i partiti e i movimenti progressisti, mentre non ha sinora eroso consensi alle forze conservatrici.
Credo che vada considerato attentamente questo dato. La crisi dei partiti socialisti e progressisti europei non è una crisi passeggera di consenso, non è la bocciatura di una determinata politica. Ma si tratta di una cosa ben più grave: è una caduta di credibilità verso il proprio elettorato. Alla sinistra viene rimproverato di non aver saputo difendere i lavoratori ed i ceti più deboli, di aver adottato il “pensiero unico” neo-liberista, di averlo applicato, in certi casi, addirittura con più zelo e rigore dei governi conservatori, e, cosa ancor più grave, di non essersi accorta per tempo che quel sistema, del “capitalismo tecno-nichilista”, come lo ha definito il prof. Magatti, era entrato irrimediabilmente in crisi. Così abbiamo assistito, non solo qui da noi ma anche in Francia e Germania, ad un dibattito, quasi a parti invertite, in cui la destra moderata rilanciava l’economia sociale di mercato e la necessità di regolare meglio i mercati finanziari, avendo capito in anticipo la portata della crisi che andava profilandosi.
La politica subordinata alla finanza speculativa
L’altra precisazione da fare sulla vuotezza progettuale della politica di questi anni, è che questa assenza di idee non ha affatto coinciso con una assenza di decisioni politiche. Al contrario, negli ultimi vent’anni in ambito nazionale, comunitario, internazionale sono state fatte scelte di portata storica, che hanno ridisegnato la struttura delle società occidentali (nella direzione di una spogliazione di risorse e di una tendenza di massa all’impoverimento) ed hanno cambiato i processi produttivi e rivoluzionato i rapporti tra gli stati e le aree geo-politiche del mondo. Solo che a guidare queste scelte non sono stati tanto i governi, legittimati dal voto democratico, quanto piuttosto pochi e potentissimi centri di potere in grado di condizionare le istituzioni secondo i loro interessi, decisamente di parte, e non secondo gli interessi generali della collettività.
A suo modo abbiamo assistito ad una rivoluzione. Ma è avvenuta una rivoluzione sui generis, non dei più deboli sui più forti, ma delle già ricchissime élites economiche e finanziarie transnazionali a scapito dei lavoratori e delle famiglie, che si sono visti sottrarre una quota consistente della ricchezza prodotta, che è passata dalla remunerazione del lavoro ad incrementare oltremisura i profitti speculativi.
Tutto ciò si è svolto per anni senza un’informazione ed un dibattito pubblico adeguato su quanto stava avvenendo, mentre noi lo sentivamo sulla nostra “carne” di lavoratori, di famiglie, di amministratori e di responsabili a vario titolo della “cosa pubblica”; lo vedevamo nei nostri territori, con il crollo del tenore di vita delle famiglie, con il lavoro sempre più precario e raro, con stipendi, profitti di attività commerciali e artigianali, pensioni, che non bastano più a sopperire alle necessità familiari.
Il gioco della grande speculazione è ben lungi dall’esser terminato, come dimostrano gli attacchi speculativi in corso sulla moneta unica europea, ma adesso, a differenza che nel recente passato, non può più essere tenuto nascosto, e tutti vedono cosa si è prodotto: si sono prodotte le bolle speculative che fino a ieri mettevano nei guai le grandi banche e che oggi rischiano di ripercuotersi sul “debito sovrano” degli stati; si sono creati grossi squilibri economici e sociali con un vertiginoso aumento delle disuguaglianze; si è messa in gravissima crisi la classe media europea; si sta mettendo a repentaglio il grado di avanzamento industriale e tecnologico e di coesione raggiunti dalle società europee nel dopoguerra.
Quale “spazio” per i cattolici
Qui, a questo punto, riprenderei il tema dello “spazio per i cattolici”: io lo collocherei esattamente qui, nelle contraddizioni, nelle incertezze, nelle inquietudini, nelle tensioni aperte dall’attuale crisi. Nella misura in cui sapremo leggerle, interpretarle, governarle, ci ritaglieremo uno spazio in politica, nel senso che saremo una voce significativa per i cittadini di questo nostro tempo.
Ma qui vedo anche tutte le difficoltà di questa sfida. Una sfida che certo non potremo sostenere da soli, ma, laicamente, con tutti gli uomini di buona volontà, soprattutto con quanti sanno “osare il futuro”, e cercano di tramutare questa crisi in una «occasione di discernimento e di nuova progettualità», come ci invita a fare la Caritas in veritate.
Trovo opportuno almeno citare alcuni temi sui quali si potrebbe caratterizzare questo “spazio” dei cattolici in politica per i tempi in cui viviamo.
Fare di questa crisi l’occasione per una nuova progettualità non esprime solo la volontà di concorrere a progettare il futuro con speranza, ma nel contempo dimostra la consapevolezza che è questa l’ora in cui tutti devono fare tutto il possibile per tentare di correggere la rotta, poiché proseguendo per la via di questi anni aumentano le probabilità, in un modo o nell’altro, ed in tempi non necessariamente ravvicinati, di avere serie difficoltà di tenuta degli equilibri politici sul piano dell’ordine sociale, sul piano della democrazia, sul piano militare.
Occorre, quindi il coraggio di osare nella ricerca di soluzioni per i problemi che ci troviamo di fronte. Come afferma ancora la Caritas in veritate, «la crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative».
Lo spazio di impegno che ci si prospetta, credo non possa fare a meno di aprirsi almeno in tre grandi direzioni: quella economico-sociale, quella istituzionale, quella internazionale.
Sul piano del rilancio dell’economia, il presupposto per ogni nuova seria politica economica è che si riesca a mettere un freno almeno alle forme più spregiudicate di speculazione. Io credo che questi temi debbano rientrare nei discorsi dei cattolici in politica, perché stanno avvenendo delle cose gravissime. Il fatto è che la recessione mondiale non ha rallentato la speculazione delle grande banche d’affari ma l’ha resa se possibile ancora più aggressiva. Salvati da aiuti pubblici di entità mai viste prima nella storia, i protagonisti della finanza speculativa non hanno fatto altro sinora che aumentare l’azzardo, anziché mettersi al servizio dell’economia reale.
Faccio un solo esempio, fra i tanti possibili. Nei giorni scorsi diversi organi di stampa hanno riportato un articolo comparso sul New York Times dello scorso 24 febbraio sulle modalità con le quali è stata messa a punto la speculazione in corso sui Paesi più deboli della zona Euro. Nel settembre scorso, e dunque in piena crisi, una piccola società britannica, la Markit Group, sponsorizzata da alcune fra le principali banche d’affari internazionali, ha ideato un indice finanziario ad hoc, costituito dai 15 CDS (Credit default swaps) più scambiati in Europa, per consentire agli operatori finanziari di scommettere sul fallimento della Grecia e di altri Paesi europei in difficoltà come Spagna, Portogallo, Italia.
Come può l’Unione Europea permettere che avvengano simili manovre? È come se durante l’incendio di un bosco, mentre tutti sono mobilitati per spegnere le fiamme, a qualcuno venisse permesso di girare con un elicottero per spargere benzina in quantità abbondante! Quando invece basterebbe veramente poco per evitare gli effetti più socialmente dolorosi di queste speculazioni: basterebbe consentire di stipulare CDS sul debito sovrano solo a coloro che detengono titoli pubblici e solo sullo stato che ha emesso i titoli di cui uno è in possesso.
Sono convinto che le forze sociali, sindacali, politiche possano dare un sostegno importante all’introduzione di regole più efficaci contro la speculazione, a condizione però che se ne parli, che lo si avverta come un problema prioritario.
L’assolutizzazione del profitto sta distruggendo il normale ciclo economico. Occorre pensare ad un nuovo compromesso tra capitalismo e democrazia che sarà possibile solo con una nuova politica economica, non più dogmaticamente legata all’ideologia neoliberista ma ispirata ai principi dell’economia sociale di mercato. I cattolici che si definiscono socialmente aperti o addirittura progressisti farebbero bene a riflettere su queste cose e non farsele sempre ricordare da politici di destra come Tremonti (il politico italiano più impegnato nella lotta alla speculazione finanziaria) o da Sarkozy, che ha chiesto ed ottenuto che la “concorrenza” non fosse più considerata un fine dell’Unione Europea, ma un semplice strumento, subordinato al progresso dei popoli.
La competizione esasperata che si è prodotta in questi ultimi due decenni nel commercio internazionale ha richiesto sacrifici durissimi ai lavoratori, ed in parte erano inevitabili. Tuttavia, fino a quando potremo continuare a contenere i costi per mantenere competitivi i nostri prodotti, tenendo bassi i salari, precarizzando il lavoro, diminuendo le prestazioni sociali ed assistenziali? È evidente che questi processi non potranno procedere all’infinito senza mettere a rischio la coesione sociale. Ci dovrà pur essere un punto di equilibrio perché altrimenti, se tutti i Paesi comprimono la domanda interna per essere più competitivi per le esportazioni, chi alla fine avrà i soldi per comprare i prodotti? Non si rischia in questo modo di aggravare indefinitamente la recessione e di ingigantire il problema della sovra-produzione?
Ecco che allora si pone il problema di come governare e rendere graduale e sostenibile il commercio internazionale. Bisogna sfatare il mito della “concorrenza” come un fine in sé. Nella giusta misura essa contribuisce alla crescita, ma tocca alla politica darle un senso ed orientarla ad un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e dei popoli.
Il nostro sistema produttivo, con le sue filiere ed i suoi distretti specializzati appare ancora in grado di sostenere qualunque competizione, a condizione però che la gara si svolga ad armi pari. Perché se invece si deve competere con chi non rispetta orari di lavoro, eroga salari anche di trenta volte inferiori ai nostri, utilizza il lavoro minorile, è sgravato da oneri sociali, ignora la questione ambientale, allora è evidente che ci troviamo di fronte ad una competizione falsata.
Credo che dobbiamo riflettere molto su questi fenomeni, come cattolici e come cittadini, perché senza una nuova politica economica che parli di re-industrializzazione, di opzioni per favorire il mercato interno all’Unione Europea, di decisioni su quali settori produttivi mantenere o reimpiantare in Europa e quali aprire agli scambi internazionali, difficilmente potremo rimanere ancora a lungo nel novero dei Paesi più industrializzati o anche solo essere certi di garantire la pace sociale.
Il governo francese ha dimostrato di voler almeno provare a mettere in campo idee nuove. Ad esempio si è proposto di aumentare di un quarto il volume della produzione “fatta in Francia” entro il 2015, di accrescere il controllo strategico delle aziende di cui lo stato è azionista, di istituire una “carbon tax” sulle importazioni di prodotti fabbricati in Paesi che non fanno osservare, o non hanno ancora, vincoli di rispetto dell’ambiente. Per quanto queste siano delle proposte che faranno inorridire molti degli economisti ultraliberisti che fanno opinione – gli stessi che fino a due anni fa negavano la crisi – esse sono, a mio avviso, dei tasselli imprescindibili per una nuova politica economica adatta ai tempi in cui ci troviamo e credibile come risposta al tramonto del neo-liberismo. Come, all’uscita dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, i cattolici furono capaci di elaborare idee e documenti (il Codice di Camaldoli, il Programma di Milano, ecc,) che avrebbero contribuito allo sviluppo successivo del Paese, così oggi che usciamo dalle macerie di una crisi che ha già distrutto una quantità di ricchezza paragonabile a quella dell’ultimo conflitto mondiale, i cattolici dovrebbero sentire il dovere di uscire dagli stereotipi dell’ideologia neo-liberista per contribuire a definire una nuova politica economica, volta al rispetto della dignità della persona ed ad un capitalismo dal volto umano.
In definitiva si tratta di passare dal sistema attuale in cui il commercio internazionale è modellato per gratificare la speculazione finanziaria, e con questo provoca una sempre maggiore caduta dei livelli di vita dei lavoratori e delle famiglie, ad un sistema di scambi globali basato sulla cooperazione tra le principali aree economiche del mondo, in cui la maggior ricchezza prodotta entri nelle tasche dei lavoratori e nei bilanci degli stati ed aiuti ciascun sistema economico a progredire.
Un secondo tema che può caratterizzare lo spazio dei cattolici in politica è, a mio parere quello istituzionale. Dopo 17 anni di elezione diretta di sindaci e di presidenti di provincia e di regione, ne vediamo oggi tutti i guasti per la democrazia. La questione morale ha assunto dei contorni allarmanti, è stato umiliato il ruolo delle assemblee elettive, con grave danno per la loro capacità di rappresentanza. Per le istituzioni locali si sono frettolosamente sposate, anche da parte di giovani costituzionalisti cattolici, le posizioni presidenzialiste della destra. Tutto ciò pesa sulla democrazia, sulla vita dei partiti, che assomigliano sempre più a conglomerati di potentati regionali e locali, non più controllati dal centro. Mi sembra urgente una riflessione ed un’iniziativa che tenda a ridare sostanza al confronto politico negli Enti Locali, riequilibrando i poteri tra gli Esecutivi ed i Consigli.
Ci sono poi gli equivoci e le illusioni che in questi anni si sono consumati sul bipolarismo. Ci si è illusi che il bipolarismo potesse fondarsi solo sulle regole e ci si è dimenticati che c’è bipolarismo solo quando vi sono realmente più progetti politici tra loro in competizione. Si è pensato di garantire l’alternanza con il maggioritario per poi scoprire che, da sempre in questo Paese esiste un blocco sociale che se messo di fronte all’alternativa secca tra sinistra e centro – destra sceglie il centro – destra. Solo il sistema elettorale proporzionale potrebbe dare qualche chance per delle future formule politiche di centro- sinistra. Ma forse oggi è tardi anche per questi discorsi, poiché l’attuale assetto, maggioritario e con liste bloccate, peggiore della legge Acerbo, come non ha mancato di rilevare Mino Martinazzoli, appare difficilmente reversibile per le normali vie parlamentari.
Infine, indicherei una terza caratteristica dello spazio dei cattolici in politica, nell’attenzione all’evoluzione attuale delle relazioni internazionali. Data l’estrema complessità dei temi mi limito a formulare due domande.
Visto che tra i padri fondatori dell’Europa figurano anche vari statisti cattolici come Adenauer, De Gasperi e Schuman, possiamo allora chiederci qual è il contributo che possiamo dare oggi alla costruzione della nuova Europa. Si avverte il problema di dare un’anima a questa Europa, troppo spesso condizionata dagli interessi delle varie lobbies e poco vicina ai problemi dei cittadini, che anzi spesso contribuisce a complicare con prescrizioni burocratiche non sempre comprensibili e di buon senso. Si pone anche il problema di affermare relazioni con le aree geografiche vicine, come la Russia, la Turchia e l’Iran, il Medio – Oriente e il Nord Africa, che riflettano gli interessi e i desideri di pace europei e non gli interessi di gruppi di pressione internazionali, delle lobbies petrolifere o di quelle dell’industria bellica.
La seconda domanda scaturisce dalle preoccupazioni per l’instabilità internazionale, in particolare per le guerre dell’Occidente in Medio Oriente che proseguono, quasi ininterrottamente dal 1991, e per l’opera di destabilizzazione del terrorismo internazionale. La domanda è: su questi temi come cattolici, che hanno pagato anche sulla loro pelle le conseguenze del terrorismo interno (anche se poi tanto interno non lo è mai stato) degli “anni di piombo”, sono in grado di esprimere una loro visione di questi fenomeni, oppure ci si accoda nella risposta “muscolare” dei neo-conservatori, solo in una forma un poco più attenuata? Anche dal confronto con questo tipo di (complicatissime) questioni passa oggi la definizione di uno spazio per quei cattolici che in politica ambiscano ad essere non semplici spettatori sprovveduti, ma soggetti consapevoli delle urgenze della nostra epoca.
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