Angela Merkel, leader della svolta europea
Forse tra qualche tempo scopriremo che sia la Brexit sia l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca non sono stati un cattivo affare per l’Europa. Stretta infatti tra la necessità di gestire l’uscita di un suo membro tanto influente quale è la Gran Bretagna e di dover fronteggiare un presidente americano indifferente, se non addirittura ostile, all’unificazione europea, l’Unione pare aver deciso di mostrare i muscoli.
E lo ha fatto, ne poteva essere diversamente, con quello che oggi, e probabilmente anche domani, è il suo leader naturale, ossia la cancelliera tedesca Angela Merkel, decisa più che mai a far avanzare il cammino dell’integrazione. Ancora nulla di concreto, perché le decisioni saranno nelle appropriate sedi comunitarie, ma è chiaro che da Berlino ci si comincia a rendere conto che una moneta unica richiede anche una politica economica se non unica, almeno coordinata in modo unitario. Occorre superare la rigida contrapposizione austerità o sviluppo, dando una spinta alla crescita del continente, per lo meno di quella parte che condivide la moneta comune.
Per farlo serve un bilancio europeo adeguato alle necessità di una politica economica sovranazionale, le cui dimensioni dovranno passare dall’attuale uno al cinque per cento del Pil dell’Unione. Un coordinamento economico e finanziario va avviato per fronteggiare le spinte dei mercati, dando vita ad un vasto programma di investimenti pubblici in parallelo ad una serie di misure per attrarre gli investimenti privati. Un’ottima occasione in tal senso può essere un grande piano europeo per l’energia pulita e rinnovabile, con una contemporanea tassa sul carbone fossile, miglior risposta possibile alla retromarcia americana sugli accordi di Parigi.
La Germania ha il tabù degli eurobond, timorosa di doversi caricare i debiti altrui, ma se non si inverte la rotta agevolando lo sviluppo, questi debiti schiacceranno tutti quanti. Altro passo ineludibile è una maggior uniformità nella tassazione delle imprese, non risultando più tollerabile, almeno nell’area euro, aliquote tanto differenziate dalla media, tali da creare un insopportabile dumping fiscale. La concorrenza sulla fiscalità tra Paesi con la stessa moneta, che vede in prima fila Irlanda, Olanda o Lussemburgo è una pratica che deve cessare.
Vedremo se l’asse Berlino-Parigi funzionerà in questo senso. L’elezione di Macron offre cinque anni di stabilità politica alla Francia, mentre in Germania la Merkel pare avvicinarsi alla riconferma. Resta l’Italia, tornata alla prese con quell’endemica instabilità che la caratterizzava negli anni della cosiddetta Prima repubblica, periodo che solo le nefandezze e la mediocrità di larga parte dell’attuale classe dirigente riesce a farci rimpiangere.
Certo l’Unione europea pretende che l’Italia faccia, come si dice, i compiti, ovvero che metta in sicurezza i propri equilibri di bilancio. In questo senso andrebbe colto l’invito, proveniente da Bruxelles, di fissare una tassazione più equa sugli immobili, riformando il catasto e spostando la fiscalità più sulla rendita che non su salari e profitti. Purtroppo la nostra classe politica fa orecchie da mercante, tutta presa da un’ansia elettoralistica di breve periodo che alla lunga penalizzerà il nostro sviluppo e ci renderà meno credibili di fronte all’Unione.
Di certo siamo in prossimità di una svolta o per lo meno di un cambio di passo a livello europeo. Messa la sordina alle forze populiste, sonoramente battute sia in Olanda che in Francia, è giunto il momento di agire. La cancelliera tedesca pare intenzionata a farlo, mostrando quelle doti di leader che tutti le riconoscono.
A volte bisogna gettare il cuore oltre l’ostacolo, in politica come nella vita. Winston Churchill divenne grande quando fu costretto a battersi contro il nazismo in Europa, Angela Merkel lo diverrà altrettanto se spingerà l’Unione verso il balzo in avanti che è ormai necessario alla sua sopravvivenza.
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