Don Milani: un esempio sempre attuale
Ci sono persone che, anche da un angolo seminascosto dal mondo, riescono ad irradiare la loro luce ovunque. Non hanno bisogno di stare sotto i riflettori, sono essi stessi dei riflettori. Ecco, don Lorenzo Milani era una di queste persone. Egli infatti, relegato a Barbiana, nel cuore dell’appennino tosco-emiliano, fece di questa borgata abbarbicata tra le montagne, un luogo che parlava a tutti. Ieri come oggi.
Don Milani nella scuola che gli era stata affidata in quell’atomo di mondo, costruì un nuovo modo di insegnare. Un mezzo non solo per istruire i ragazzi ma per farli crescere, per imparare a ragionare con la propria testa, perché solo così si restituisce dignità alla persona. E questo prete di montagna spese tutta la vita per difendere questa dignità, quella dei più deboli soprattutto, spesso calpestata e derisa. Intravedeva nell’istruzione la più potente leva per battere quell’ignoranza che è alla base di qualsiasi ingiustizia. “L’operaio conosce cento parole, il padrone mille; per questo è lui il padrone”. In questa frase, che ancora oggi risuona nella nostra mente, vi è l’intuizione di come la scolarità incida sul destino dei ragazzi, segnandone a volte irrimediabilmente il loro futuro, intrecciandosi con un sistema scolastico spesso improntato ad un più o meno esplicito classismo.
A Barbiana si sviluppò un nuovo modo di intendere la scuola. Ai ragazzi don Milani regalò una scuola aperta al mondo, vicina ai suoi problemi, dove parte delle lezioni erano dedicate alla lettura del giornale, commentando i principali fatti di attualità. Voleva rendere i ragazzi padroni della realtà che li circondava, per non essere sfruttati e dominati da nessuno. Persone capaci di pensare con la propria testa, argomentando le proprie scelte, seguendo quel fecondo connubio fatto di libertà e responsabilità. Un bagaglio per agire anche nella dimensione collettiva perché il problema degli altri è anche il mio ed allora “sortirne tutti insieme è politica, sortirne da soli è avarizia”. Solo con gli altri possiamo infatti valorizzare i nostri talenti e porli al servizio della comunità, per correggere le storture della società in cui si vive.
Densa di riflessioni fu anche la vicenda dei cappellani militari che si erano scagliati contro l’obiezione di coscienza, definendola un atto di viltà contrario all’amore per il prossimo. Don Milani rispose con una lettera in cui, ricordando l’art. 11 della Costituzione (L’Italia ripudia la guerra ….”), sottolineò che si poteva servire la patria non solo con la cieca obbedienza. Il priore di Barbiana finì sotto processo, ma questo gli offrì modo di spiegare come non basti accettare passivamente le leggi e che occorre invece anche chiedersi se esse perseguano il bene comune.
Perché, ed è questo il punto, ci sono anche leggi sbagliate che servono ad opprimere la povera gente e a queste non si deve allora obbedire. Di per sé infatti l’obbedienza non è una virtù ma va sempre accompagnata da un adeguato discernimento delle cose. Ben sapendo che, purtroppo, la forza del potere non viene dall’alto ma dal basso, da chi si piega ed accetta le regole ingiuste. Sta dunque a noi scegliere cosa fare, usando il nostro senso critico, provando a scuotere la nostra coscienza. Bisogna sempre schierarsi in difesa degli ultimi non avendo timore di disturbare il manovratore di turno.
Ripensare a don Milani, a mezzo secolo di distanza dalla morte, significa tutto questo. Qui non ci sono mezze misure. Papa Francesco, che poche settimane fa si è recato a pregare a Barbiana, ce lo ha ricordato in modo limpido e netto: lo spazio offerto alla dignità della persona è la sola misura della validità di un sistema politico, sociale ed economico. E tocca a noi tutti, col nostro sapere e col nostro coraggio, dare un contributo per cambiare le cose.
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