“Economia sociale di mercato” o mercato della strumentalizzazione politica?
Succede questo, che vado a raccontarvi.
Una mia conoscente, docente di materie economiche in un Ateneo milanese, nel corso di un lavoro di ricerca sulla “Economia sociale di mercato” – di cui è peraltro già esperta – ha dato un’occhiata al materiale che sull’argomento si trova su Internet, la “rete” dei saperi a cui ormai fa riferimento la grande maggioranza degli studenti.
Il motore di ricerca fa subito emergere Wikipedia, nelle versioni inglese e italiana. E allora, incuriosita, vi si inoltra. E cosa trova? Scopre innanzitutto che la versione nostrana è decisamente più sintetica di quella in inglese, meno articolata; non che contenga errori grossolani nella definizione (“sostanzialmente esatta”) ma certo si presenta drasticamente selettiva nelle informazioni. (Beh, chiunque voglia controllare di persona non ha che da digitare “economia sociale di mercato” o “social market economy”).
Nel testo italiano si dice che quel modello si propone di garantire sia la libertà di mercato che la giustizia sociale, ma senza dirigismo statale; lo Stato interverrebbe solo “laddove il mercato fallisce nella sua funzione sociale”. Ok, ma nella parte storica c’è qualche problema, perché dopo il giusto riferimento all’Ordoliberalismo della Scuola di Friburgo, si cita Roepke, il cui ruolo viene eccessivamente enfatizzato (forse perché il più conosciuto in Italia), e a proposito del quale si parla di “terza via” fra liberalismo e collettivismo.
Ma torniamo al racconto della professoressa. La quale mentre legge non può fare a meno di notare, e criticare, la brevità della esposizione, che non fa riferimento, per esempio, alla esperienza storica della Germania postbellica governata dai cristiano-democratici di Adenauer e Erhard, e trascura di spiegare, per esempio, che è escluso drasticamente ogni intervento dello Stato in economia e che invece nei rapporti di lavoro si prevedono strumenti di “cogestione” tipici della esperienza austro-tedesca.
La docente trova poi assolutamente esilarante, e insopportabile, la parte che riguarda l’Italia. C’è scritto: “In Italia tra coloro che propugnano l’economia sociale di mercato si possono inserire Giulio Tremonti (e in nota di riporta un suo articolo su “Il Giornale” del 2008, NdR), Gianni Alemanno, Roberto Formigoni (suo articolo su “AltriMondi” del 2009, NdR) e gli esponenti dell’ex-Alleanza Nazionale confluiti nel Popolo della Libertà”.
La bibliografia si limita a un solo titolo (Flavio Felice, L’economia sociale di mercato, Rubbettino, un libretto di piccolo formato, 120 pagine). Lo stesso Felice è nominato per una relazione tenuta a un convegno del Centro Toqueville-Acton, “think-tank indipendente di ispirazione cattolico-liberal”, secondo la autodefinizione che si trova sul sito.
La professoressa decide di intervenire sul testo, e migliora e completa la scheda. Dopo qualche ora apre nuovamente quella voce di Wikipedia e trova che la versione aggiornata è scomparsa ed è tornata quella precedente. Corregge di nuovo, il sistema sembra acquisire le modifiche, ma poi dopo qualche ora torna all’origine. E così per qualche giorno.
La questione appare quindi complicata (o semplice, fate voi), nel senso che è evidentemente un problema di gestione ideologico-politica di una voce di una “enciclopedia elettronica” che ha la pretesa della completezza asettica e quindi della attendibilità (pretesa legittima, e anche realmente realizzata, in tanti e tanti casi).
Quale è lo “scandalo”? Che si cerchi di far dimenticare la vocazione di interventismo statale proprio della tradizione della destra “ex-missina” italiana. Che si mettano in fila una serie di esponenti politici di derivazione diversa e si cerchi di far credere che sono essi i promotori della “economia sociale di mercato”. Che si finga di non capire che quella espressione in italiano accosta termini che fanno pensare a qualcosa di diverso da ciò che in effetti il modello è stato ed è concretamente in Germania, dove è nato e si è sviluppato. Non foss’altro perché Oltralpe l’”economia sociale di mercato” ha un fondamento costituzionale, che in Italia non c’è.
Una circostanza non irrilevante, perché vuol dire fare della base della economia di mercato il “rispetto delle regole”. Il che – se guardiamo alla situazione italiana – diventa irresistibilmente umoristico. Chi sarebbero i campioni del “rispetto delle regole” nel nostro Paese, i nomi citati dalla voce di Wikipedia? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò.
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