Cento anni dalla Rivoluzione di Ottobre

Cento anni ci separano da uno dei più grandi avvenimenti che hanno segnato il XX secolo: la rivoluzione russa. Da quei dieci giorni che, nel novembre 1917, risuonarono nei decenni successivi in ogni parte del mondo. Mosca fu il laboratorio della nuova ideologia dei due filosofi tedeschi, Karl Marx e Frederick Engels, il comunismo, imperniato sulla nascita di una società nuova, senza classi, con l’abolizione della proprietà privata. Una società in cui il proletariato si sarebbe affrancato dalla schiavitù del capitale.
Marx pose anche le basi di una nuova filosofia politica. L’idea che il corso della storia sia determinato dalle strutture economiche su cui vanno poi ad innestarsi le sovrastrutture politiche e culturali. Tutto, nella teoria marxista, procede dai rapporti economici per cui qualsiasi sistema evolve, verso nuove modalità di produzione della ricchezza, gettando le basi per il suo superamento. E dunque, esattamente come venne superato il feudalesimo o il mercantilismo, anche il capitalismo sarà sorpassato da qualcos’altro. Tappa successiva avrebbe dovuto essere la società comunista. Si può certo dissentire sulla “missione storica” assegnata al comunismo, ma la concezione marxista di una sequenza di cicli che si aprono e si chiudono, resta un valido strumento di comprensione anche per la società di oggi.
Riguardo invece all’ideologia comunista la realtà si rivelò assai diversa dalle previsioni del suo mentore tedesco. Quella che Vladimir Ulianov, detto Lenin, a capo dei bolscevichi, instaurò nel 1917 fu una dittatura che di lì a poco spalancherà le porte al totalitarismo staliniano, che mandò in soffitta persino il sogno della rivoluzione universale propugnata da Leon Trozky. Al di là delle grandi enunciazioni e dei sogni di liberazione dell’uomo, nella pratica il comunismo si rivelò un micidiale strumento di oppressione. Basti pensare alle persecuzioni religiose di regimi che inalberavano l’ateismo di Stato.
Era davvero inevitabile un simile esito? Forse no, anche perché la lotta contro lo sfruttamento, la ricerca di una vera giustizia sociale, l’aspirazione all’uguaglianza erano, e sono, esigenze sacrosante. Questi aspetti positivi sono stati però cancellati dalla totale mancanza di libertà della persona. Il comunismo si è hmostrato del tutto incompatibile riguardo alle libertà individuali e alle istituzioni democratiche e ciò ne ha segnato l’insuperabile limite che lo ha votato al fallimento, rendendolo inadeguato a qualsiasi società avanzata.
Il collettivismo, l’assenza di ogni genere di libertà (religiosa, economica, ecc..), il pluralismo sociale schiacciato da un partito-Stato onnipotente, potevano soltanto reggere in Paesi sottosviluppati. Non a caso, proprio in quelle realtà – come la Russia zarista alla vigilia della rivoluzione o la Cina ai tempi della Lunga marcia di Mao – il comunismo ha costruito i suoi unici successi. A prezzo, peraltro, di centinaia di migliaia di morti.
Completo invece il fallimento nell’Est europeo, dove l’ideologia comunista venne impiantata dai sovietici, con la forza dopo la Seconda guerra mondiale, in realtà come la Polonia, l’Ungheria o la Cecoslovacchia, abituate alle libertà democratiche ed economicamente sviluppate. Ne derivò un’artificiosa costrizione che, come un castello di carte, crollò in poche settimane in quel magnifico autunno del 1989.
Ripensando al comunismo, a quasi trent’anni dal suo tramonto, può certo dirsi che non sia stato una valida risposta ai bisogni e alle aspirazioni dell’uomo, ma intatta resta, oggi come ieri, la necessità di contrastare lo strapotere capitalista che spalanca le porte alle peggiori storture sociali ed economiche. E non è neppure un caso che, perso il suo storico antagonista, il capitalismo si sia preso una colossale rivincita tale da mettere in discussione tanto lo Stato sociale quanto addirittura la stessa democrazia.
La sfida dei prossimi decenni sarà proprio quella di porre un limite a questo strapotere plutocratico e materialista. Una questione che, quando ancora si levavano i calici di fronte alle macerie comuniste, Giovanni Paolo II pose con straordinaria lungimiranza.

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