Integrazione europea: unica diga contro l’ipercapitalismo
L’attuale sistema economico, caratterizzato dall’enorme spazio concesso alla finanza rispetto alla produzione di beni e servizi, accentua sempre più la forbice sociale tra una minoranza di privilegiati e la stragrande maggioranza delle persone. L’ accentuarsi delle disuguaglianze è il tratto distintivo di questo capitalismo ormai incapace di generare ricchezza per tutti e che continua invece a premiare chi già possiede di più. Le statistiche parlano chiaro: la minoranza più ricca vede accrescere la propria quota di reddito, mentre risultano penalizzata la classe medio-bassa, quell’ampia fascia di popolazione, forza stabilizzatrice di qualsiasi democrazia.
Non a caso oggi, ci troviamo di fronte in Europa e negli Stati Uniti all’avanzare di un’estrema destra che denuncia i guasti del liberismo. Ben più timoroso, a questo riguardo, è invece l’atteggiamento delle forze riformiste, troppo spesso subalterne alle ricette liberiste, viste come unico orizzonte cui riferirsi. Se però l’estrema destra mostra una certa lucidità nell’identificare i mali di un’economia ultra globalizzata, risultano però infondati i rimedi proposti.
Si parla di chiusura delle frontiere o di ritorno alle vecchie sovranità, per poi sul terreno economico, e lo si vede a casa nostra, tirar fuori la flat tax. In pratica una tassa piatta, con aliquota unica che distruggerebbe, assieme alla progressività delle imposte basata sulla capacità contributiva dei cittadini, qualsiasi equità tributaria. D’altronde tratto caratteristico di tutte le destre radicali è il totale disinteresse per qualsiasi meccanismo di solidarietà fiscale, economica o sociale.
Se dunque le risposte reazionarie sono parte del problema e non certo la soluzione, resta pur sempre da trovare una sensata via di uscita da questa indubbia egemonia del capitale sull’intera società. Cavallo di battaglia di questa egemonia è sicuramente la tassazione. Il taglio delle imposte è divenuto una sorta di dogma cui, a destra come a sinistra, tutti si attengono. Un’opzione talmente per scontata che pare sia sempre stata all’ordine del giorno.
Non è affatto così. Negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, l’aliquota massima dell’imposta sul reddito era del 70 per cento. Livello che, oggi, nessuno oserebbe proporre ma che a quel tempo faceva parte del normale bagaglio non dei leader comunisti, ma addirittura del Partito repubblicano di Dwight Eisenhower. Con l’avvento del liberismo reaganiano la situazione si è capovolta, nell’idea che le politiche redistributive fossero il male per eccellenza. Da quel momento le diseguaglianze non hanno fatto che aumentare.
Per correggere la rotta occorre quindi ripartire da un adeguato livello di investimenti nei servizi collettivi fondamentali (sanità, scuola, assistenza, ecc…) stabilito il quale, l’entità dell’imposizione fiscale risulterà come naturale conseguenza. In seconda battuta va recuperato un incisivo ruolo dell’investimento pubblico, a supporto di alcuni grandi temi: ambiente, energia pulita, trasporti collettivi su rotaia, risorse idriche, tutela del territorio, tecnologie avanzate, ricerca medica e scientifica, su cui potranno innestarsi in modo proficuo gli investimenti privati, Terzo punto, la rivalorizzazione del lavoro come elemento centrale della società, puntando sulla stabilità dell’impiego, su adeguati livelli salariali e su idonee protezioni sociali.
Tre snodi che, da soli, forniscono già la traccia di un vero progetto riformatore, in nulla succube al grande capitale e in grado di dare risposte alle inquietudini dei cittadini, smontando i vacui slogan dell’estrema destra.
Ultimo elemento, l’Europa. Un continente che si è ingabbiato in un’austerità che ne frena le possibilità di ripresa economica col risultato che l’ Unione viene considerata responsabile di una situazione, indotta invece dalle egoistiche scelte dei singoli Stati. Si respinge così – ed è un vero autolesionismo – la sola credibile e concreta via di uscita: un’integrazione capace di tutelare un modello sociale unico al mondo accompagnato da uno sviluppo economico sostenibile
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