L’ora più buia
Il film “L’ora più buia”, al di là di una valutazione strettamente cinematografica, ha il pregio di riportare alla mente la straordinaria figura di Winston Churchill e la sua strenua battaglia contro la tirannia hitleriana. In tempi come questi – dove assistiamo ad un insistente e pericoloso revisionismo storico, tra neppure troppo velate simpatie naziste – è bene rimettere le cose al loro posto. E dire allora che a Churchill, forse più che ad ogni altro, dobbiamo la nostra libertà, perché proprio in quello che, giustamente, viene considerato il più momento più cupo della recente storia inglese, egli seppe spronare i suoi concittadini alla riscossa contro una Germania nazista che sembrava realmente prossima alla vittoria.
Fu sua la voce di una Gran Bretagna che non si sarebbe mai arresa ad Hitler, anche se in quel momento Londra era sola, con gli Stati Uniti divisi tra isolazionisti e interventisti e la Russia addirittura alleata della Germania. <<Combatteremo in Francia – disse Churchill – combatteremo su mari ed oceani, nei campi e nelle strade, difenderemo la nostra isola ad ogni costo, noi non ci arrenderemo mai>>. E fu questa indomita volontà a costruire le basi della futura vittoria.
Quando nel settembre 1940 i tedeschi bombardarono Londra, l’intera popolazione mostrò al mondo la sua volontà di resistere. Ancora oggi suscitano ammirazione le immagini dei sovrani che rifiutarono di abbandonare la capitale per condividere le sofferenze dei loro concittadini. Ed è in quei frangenti che si saldò, una volta di più, quel legame, ancor oggi esistente, tra la monarchia e il popolo britannico. Quale differenza rispetto ai nostri sovrani che nel 1943 lasciarono Roma indifesa e priva di ordini, sotto l’incalzare dell’occupazione tedesca.
Churchill, questo conservatore anticomunista, non amato negli ambienti del suo stesso partito per le sue posizioni sovente poco conformiste, seppe allearsi anche con Stalin pur di battere Hitler, considerato il nemico numero uno. Strano destino il suo, conobbe la gloria nel momento della tempesta per essere poi mandato a casa nel periodo di bonaccia, quando le elezioni politiche che si tennero immediatamente a guerra finita, consegnarono il Paese ai laburisti.
E’ il bello della democrazia: la gente vota e decide liberamente il proprio destino. E il conservatore Churchill fu ritenuto meno adatto del laburista Clement Attlee per gestire gli immensi problemi del dopoguerra. Ma non eravamo ancora all’epilogo, perché Winnie, come veniva affettuosamente soprannominato, tornò ancora a Downing street nel 1951. Rimase alla guida del Paese per altri quattro anni, sino al definitivo ritiro dalla scena politica. Quando morì, nel gennaio 1965, ebbe funerali simili a quelli, un secolo e mezzo prima, di lord Nelson, l’eroe di Trafalgar. La Gran Bretagna dava l’ultimo saluto all’uomo che venticinque anni prima le aveva restituito l’onore.
Quella di Churchill e del popolo inglese è, a ben vedere, una lezione che ci rammenta come, proprio quando tutto sembra perduto, è il momento di trovare le energie per superare le avversità. Un atteggiamento che dovremmo far nostro, dinanzi alle molteplici sfide odierne, per fortuna non connesse ad un conflitto mondiale in corso, ma legate alla crisi economica, al degrado ambientale, al terrorismo o all’immigrazione. Eppure l’Europa di oggi pare sopraffatta dalla paura del mondo globalizzato, da un assurdo vuoto etico e culturale, da un ripiegamento che si traduce persino in una bassa natalità. Di fronte alle sfide del nostro tempo non ci si può adagiare in una lamentosa rassegnazione ma occorre ritrovare la forza morale per credere in noi stessi. Perché spesso è proprio nelle ore più buie, che può meglio scorgersi la luce.
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