Elezioni: un voto non contro l’Europa ma per un’Europa diversa
Dalle urne esce una richiesta enorme di cambiamento, che ha premiato le liste che sono apparse in maggiore discontinuità con le politiche di austerità attuate nella scorsa legislatura ed ha punito le forze che sono apparse maggiormente responsabili di tali politiche.
Nonostante la drammatica crisi economica e sociale attraversata dal Paese, la partecipazione al voto è stata più che buona, quasi i tre quarti degli aventi diritto, anche se si tratta pur sempre dell’affluenza alle urne più bassa della storia repubblicana in una elezione parlamentare.
Le indicazioni del voto più rilevanti appaiono essere:
la vittoria ampia del M5S che raccoglie circa un terzo dei consensi, con una fortissima affermazione soprattutto nel Mezzogiorno.
Il sorpasso della Lega su Forza Italia, che ne sancisce la trasformazione in un partito nazionale, nuovo perno del centrodestra.
La netta sconfitta del Partito Democratico e del suo segretario Matteo Renzi.
Il fallimento del progetto di Liberi Uguali nell’attrarre i voti dei delusi del Pd e del campo progressista, che invece sono andati in massa al M5S.
Il dato politico più importante che emerge dal voto, è che in parlamento mancano i numeri per qualunque ipotesi di governo che volesse proseguire sulla via dell’austerità, che volesse ancora utilizzare in futuro l’avanzo primario per inseguire la chimera della riduzione del debito e del rispetto di vincoli europei senza giustificabile ragione umana ed economica, anziché per politiche espansive e per urgenti investimenti per il lavoro e per lo sviluppo.
È affidato alla responsabilità delle forze politiche vincitrici il tener fede a questo dato incontrovertibile, non prestandosi a formule di governo che possano anestetizzare la volontà espressa dal popolo.
Nonostante la secca sconfitta il Partito Democratico appare ancora la forza politica imprescindibile per qualsiasi soluzione di governo. I risultati lasciano intravedere tre principali ipotesi:
un governo cosiddetto del presidente, di unità nazionale che nel minor tempo possibile possa portare il Paese a nuove elezioni.
Un governo del M5S con l’appoggio di Pd e LeU che porrebbe il movimento pentastellato di fronte ad un bivio: mantenere l’anima “populista” oppure imboccare il modello Syriza che prende voti di protesta e antiestablishment per utilizzarli in favore di politiche di dura austerità.
Infine, l’ipotesi meno probabile, di un governo di centrodestra, che trovi i voti mancanti da gruppo misto, Pd o una parte di esso.
Nonostante gran parte della campagna elettorale sia stata condotta sui media e sulla rete, alla fine le forze che più hanno puntato al contatto diretto con l’elettorato, soprattutto quello delle periferie economiche, sociali e geografiche del Paese hanno ottenuto i migliori risultati. Di contro si è registrata una sproporzione fra il battage mediatico di cui hanno beneficiato alcune liste, come quella della Bonino, e i risultati reali.
Anche questo è un dato di cui tener conto per riannodare i fili della rappresentanza popolare, dei ceti lavoratori e intermedi, che consolida la democrazia anche di fronte ai passaggi più difficili.
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